Parla il meastro della sua sede in via dei Solari, nel libro di Gualdoni edito da Confine.
Una storia può essere raccontata solo se ha un inizio e una fine. È da questa verità che parte il libro Vicolo dei Lavandai dialogo con Arnaldo Pomodoro edito da con-fine. Purtroppo la fine è la chiusura di uno spazio storico per la città di Milano: chiude nel dicembre del 2011 la sede di via dei Solari 35 legata alla fondazione Pomodoro. La crisi è crisi per tutti e questa è un’altra verità da mandare giù come un boccone amaro. «Alla fine degli anni 90 – dice il maestro – cercavo un luogo dove realizzare una grande scultura che mi era stata commissionata a Roma per celebrare il cambio di millennio». Così è nato l’amore del maestro verso questo spazio che conservava ancora la memoria della sua antica funzione: una fabbrica di turbine e pompe idrauliche. Un ambiente immenso, gigante e poeticamente vuoto. Perfetto, insomma, come atelier per lo scultore.
Il dialogo fra Pomodoro e Flaminio Gualdoni, autore del testo, sembra una conversazione fra vecchi amici in una serata d’autunno davanti a un camino acceso. Lo scultore racconta la sua idea di fondazione, la sua volontà di creare un archivio personale, catalogare le sue opere per non lasciarle in balia del tempo. Emerge la doppia natura dell’artista, quella profondamente egocentrica di muovere persone e soldi per (ri)costruire la sua storia; e quella altruistica di fare ordine nel suo lavoro per consegnare ai posteri un percorso chiaro e privo di vuoti cosmici.
Pomodoro sa benissimo che una fondazione non può servire solo per un lavoro d’archivio e allora, su consiglio di Carlo Argan, comincia a trasformare i suoi spazi in ambienti dinamici, ricchi di eventi e mostre di artisti affermati e giovani promesse. «Credo nei giovani non solo nella parole ma nei fatti» dice infatti il maestro. Via dei Solari ne è un esempio perfetto, aperta dopo uno spazio espositivo a Rozzano, nella periferia di Milano, parte subito con una mostra dedicata alla scultura del ’900. «È una mostra programmatica – avverte Pomodoro – davvero l’annuncio di una nuova linea culturale. Parte dai padri fondatori sino all’ultima generazione». E poi mostre personali come quelle di Kounellis, Mulas e Fontana e artisti meno storicizzati come Abakanowicz o Iglesias. Una storia per essere raccontata ha bisogno di un inizio e di una fine. Vicolo dei Lavandai è dove tutto è partito, primo studio dell’artista perso fra i navigli milanesi che come li raccontava Hemingway non li racconta più nessuno.
Francesco Angelucci
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il volume Vicolo dei Lavandai. Dialogo con Arnaldo Pomodoro di Flaminio Gualdoni
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