Cerco uno spiraglio dell’ultimo sole di giornata in quest’ammasso di nuvole grigie e lo trovo nei ragazzini di colore che scaldano il loro inizio di giornata passandosi la palla nel piccolo pezzo di strada su cui affaccio. Calciano tenendo le mani appese alle loro sciarpe, confondendo la nebbia col fiato.
M’imbatto in questo inizio di serata lasciando il rimbombo del pallone alle mie spalle, passando di fianco il silenzio inquietante di un’enorme fabbrica ed entrando dall’edicolante ormai di fiducia. Compro un quotidiano e poi mi porto sulla North Circular (una sorta di tangenziale che ho dietro casa). Sto per compiere il mio lavoro giornaliero: aspettare un pullman come una sentinella, perché se mantieni un atteggiamento disinteressato o ti fermi a leggere qualcosa, l’autista passa oltre: è necessario sbracciarsi quando si è in fermate desolate. Mi preparo alla mia solita media di ottanta minuti in traballamento, questa volta raddoppiati visto che ho deciso di andare a Brixton, per appunto capire nel girone delle periferie londinesi quale meglio possa calzarmi. Lascio il mio caro Nord per raggiungere Brixton, devo incontrare dei volontari di un’organizzazione colombiana, non governativa, ma fondata da chi qualche anno fa arrivò qui da quella terra per dare assistenza a tutti gli ispanici che s’imbattano nella capitale inglese. Visto il tempo impiegato, mi sembra di sbarcare a Brixton, in un epicentro di diversità che rispolvera la tensione che i passi nella notte sanno rendermi. In strade che finalmente non hanno più l’odore da confezione regali di un brillante meridiano geografico.
Per la prima volta da quando a Londra mi sembra di osservare gente che non si sforza di adeguarsi o di andare veloce come le ruote economiche di questa città. È tutto maledettamente sporco: le parlate, i marciapiedi con la schiuma da lattine di birra, le vetrine bruciate ed anche i pound si differenziano (qui, quartiere di mercati, viene usata una sorta di moneta indipendente, il brixton pound, così da stimolare il mercato e non farsi soffocare dalla forte sterlina). S’incontrano casse da mercato divenute altari per chi ha voglia di sfogare, in discorsi inconcludenti, la rabbia di una vita sotto le stelle di Brixton; ubriachi lerci che, se per sbaglio, a causa di riflessi e movenze scoordinate, ti sfiorano, sono capaci di stendersi ai tuoi piedi e baciare l’asfalto o ubriachi e basta che anche senza motivo cercano la rissa; avvoltoi sulla bici pronti a scipparti; abbracci con chi è felice d’insegnarti qualche parola della sua lingua e d’impararne qualcuna dalla tua; un miscuglio di egiziano, giamaicano, spagnolo, coreano, rumeno: anche Londra ha il suo sud. Non ho il tempo di migliorare la mia confidenza con queste strade, devo infilarmi in Overton Road, dove i volontari del centro colombiano stanno tenendo una riunione serale per organizzare al meglio il corso d’inglese per i loro assistiti. La gentilezza e l’amicizia di Veronica mi permettono d’intrufolarmi e sbirciare nelle storie dei frequentatori di questo corso. Gente che ha deciso di assecondare i suadenti canti della sirena Londra, che, a parte l’umidità della pioggia, sembra sempre promettere futuro, possibilità, uguaglianza, civiltà. Invece per tutte queste persone, anche una volta abbattuto l’ostacolo linguistico, restano le calamite verso il basso derivanti dal non essere british. Tra i loro dati leggo competenze variegate e studi più disparati: ci sono ingegneri, storici, maestre, restauratori, sognatori. Per la maggior parte di loro l’essere immigrati vuol dire afferrare tutto quello che viene offerto, che per lo più è fatto di posizioni da cleaner. Per chi invece non ha più un pezzo di carta da permesso di soggiorno è meglio dedicarsi al mercato nero, per non incorrere nella burocrazia del respingimento. A Londra, terra di sindacati forti, si è sviluppato un organo per la difesa dei diritti dei cleaner, molte volte abusati nel loro tempo e sottopagati. Chi è in questo centro per imparare la lingua fa i conti con paghe da trecento pound mensili, che non danno il respiro in questa capitale, od ottocento lavorando senza pause. Insomma questa Brixton, poco raccomandata dai benpensanti, mi si è rivelata invece particolarmente saggia: ha spazzato via i sogni di Londra e mi ha raccontato la verità.
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Il secondo racconto di Lorenzo Giroffi da Londra… leggetelo sul blog!