Negli ultimi anni, in un turbine d’ansia storicistica, sono state compilate statistiche, censimenti e inquadramenti delle ultime generazioni di poeti italiani (la “generazione entrante”, qualcuno ha scritto). Così ecco un fiorire di saggistica (che già pretende di farsi manuale): i poeti nati negli anni ’70, quelli negli anni ’80, presto – non osiamo dubitarne – sarà la volta dei poeti nati nel decennio di Kurt Cobain e del rigore alle stelle di Baggio.
Noi (e chi siamo noi per non cavalcare l’onda, per restarcene muti, girati di schiena a un divenire storico così lauto di promesse?), modestamente, ci mettiamo avanti. Basta con le ciance novecentesche! Noi guardiamo oltre, avanziamo! Permettendoci di saltare gli anni Zero (qualche sociologo della letteratura se ne occupi al nostro posto) balziamo senza indugi agli anni Dieci. Siamo modesti, si è detto, consapevoli che in territori di frontiera i fuochi non si accendono. Dunque, pochi nomi, quei tre-quattro su cui ci piace scommettere.
Cominciamo la rassegna con F.C., nato nel gennaio 2010, praticamente l’anziano della compagnia. Lo abbiamo seguito nella sua crescita, lo vediamo ora, nella primavera del 2013, sgambettare sui prati del suo paese di provincia (provincia impoverita del nord) inseguendo un pallone di cuoio finto. È un poeta agile, olimpico, i suoi versi si dispiegano come sentenze, senza bamboleggiamenti: “mamma”, “papà”, dice, in un minimalismo compostamente classicista così carico di rimandi, assonanze. Eppure, che purezza!
B. B., invece, è una poetessa precoce. Il pannolino lo ha rifiutato presto (non ha paura, lei, del mostro del water!). Si diverte con le bisillabe esplosive e sonore: “bab-bo”, dice, tradendo la sua origine toscana. Le sue rime sono tronche, come le conversazioni che interrompe – con le bizze – tra mamma e papà. Le sue poesiole, impertinenti, hanno il ritmo della nenia, e spaventano la balia!
Per il sud (e come non rappresentare qui il nostro martirizzato sud!) l’elegantissimo, ma scetticamente satirico, signor A. Z. Lui, A. Z., della tradizione poetica italiana non dimentica nulla, dai sontuosi stilnovisti, ebbri di piacere, ai secchi lombardi, persi in una linea di nebbia. Tutto conosce, A.Z., e tutto parodizza nei suoi versi: “Ba-Dante”, dice, rivolgendosi al non sveglissimo nonno.
Ecco, non volendo prenderci rischi ulteriori, ci fermiamo. Ci sarebbe, a dire il vero, un poeta religioso molto bravo, un predestinato. Francesco (non vogliamo ancora svelarne il cognome), nato in una buia sera di marzo, e così battezzato in omaggio al nuovo Pontefice. È ancora giovane, promette, ma non azzardiamo scommesse. I suoi vagiti sono acuti come archi di una cattedrale gotica, tutto qua.
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