A Cugliano, immaginario paesone dell’hinterland a Nord di Napoli, vive Marco Cicala, diciannovenne vestito per lo più di marrone, devastato dall’acne tanto che lo chiamano Elefà Me’. Passa molte ore chiuso in camera sua a leggere, o magari a consultare YouPorn. Ed è ancora vergine, per la disperazione del padre.
A cercare di salvarlo dal suo destino di nerd di periferia accorre suo cugino, ‘o Mericano, che se lo
trascina a Mykonos a disfarsi di alcol, di sesso e della musica più brutta che l’umanità abbia concepito in tutta la sua storia. Sulle strade dell’isola dell’Egeo si ingaggiano gare tra scooter e quad. Qualcuno si ribalta e precipita dalla scogliera.
Gli altri ne fotografano il cadavere.
Fine della prima parte.
Pochi anni dopo, ritroviamo Marco e il cugino a Cugliano. Il vecchio nerd è diventato un fighetto: ormai “sta a mentalità”, ha nascosto i suoi libri, al posto del vecchio poster di Van Gogh ne ha messo uno di Belen, frequenta regolarmente il Joy, la megadiscoteca che di Cugliano è l’unico vanto. Su facebook ottiene l’amicizia di un femminone biondo, una fotomodella, e una sera la incontra di persona proprio al Joy, ma proprio mentre crede che sia fatta, arriva uno più figo di lui, le stesse Tod’s ai piedi, ma non quelle della collezione dell’anno prima, e poco dopo finirà travolto
per vendetta dalle ruote di una Nissan Juke. Fine della seconda parte.
Ormai laureato in giurisprudenza, Marco Cicala ha fatto qualche timido tentativo di trovare lavoro, ma si è presto acconciato a una routine da vitellone senza prospettive. Lo ritroviamo in un locale del centro storico di Napoli, insieme con il cugino che è in paranoia perché la sua ragazza sta a Milano e pare che lo tradisca. Marco incontra una tipa un po’ strafatta ma umana. Suo cugino decide quella stessa sera di piantare tutto e andarsene a Milano.
Lui, invece, riceve un sms dalla tipa: gli annuncia che il giorno dopo partirà per Londra, e lo invita a seguire l’istinto. Fine del romanzo.
Absolute, opera prima del ventinovenne napoletano Marco Aragno (Con-fine edizioni, pagg. 152, euro 12), ha tutte le imperfezioni dei romanzi di formazione, però ne ha anche una certa freschezza, talvolta sorprendente. Racconta una periferia non appiattita sul modello-Gomorra (si intravvedono i palazzoni di Scampia ma, com’è giusto che sia, non esauriscono il paesaggio), bensì sulla chiacchiera indotta da Grande Fratello e pallone, Maria De Filippi e marche d’abbigliamento. Roba da Bret Easton Ellis, però a Cugliano, dove la festa per la laurea si fa al ristorante La Casareccia, che serve «la zuppa di cozze più buona della circumvallazione esterna di Napoli». Si ride anche, e piuttosto spesso; ma ancor più di frequente ti viene un brivido addosso per il senso di morte che percorre tutta questa storia: morte della giovinezza, morte della speranza, morte dei luoghi.
Aragno ha il merito di insinuare questa percezione controllandola, tenendola sempre come in sottofondo, un po’ nascosta o quasi casuale. Penso che, a differenza dei suoi personaggi, possa avere un futuro.
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