Corriere del Mezzogiorno | Mare Crudele - Storie di naufragi sorrentini In un libro giovani mozzi e capitani arditi | di Giovanna Mozzillo

No, il passato non è stato migliore del presente. Perché, se è evidente che oggi il rispetto per la vita è scarso è altrettanto vero che nei secoli scorsi le cose non andavano meglio e assai poco salvaguardata era la sopravvivenza di chi svolgeva lavori a rischio.

Certo, la mia è un’osservazione scontata, ma mi è venuto spontanea indulgervi perché ho appena letto Naufragi e comparizioni in mare dai registri degli atti di morte del comune di Meta, il libro in cui Fortunato Imperato ha trascritto tutti i casi di naviganti che dall’Unità d’Italia alla Grande Guerra hanno perso la vita su navi partite dalla Costiera, e mi ha impressionato scoprire quanti mozzi ragazzini (o quasi bambini) sia toccato soccombere nel corso delle traversate. In particolare mi ha colpito il caso di Alessio Palam che di anni ne aveva dodici e che risulta «deceduto il 24/01/1869 per caduta in mare dall’albero di maestra durante il viaggio da Costantina a Falmouth». Comunque ovviamente sulle navi di cui il libro tratta non morivano solo mozzi. A rimetterci la vita erano anche marinai, ufficiali e capitani. Uomini alla cui memoria intende rendere omaggio questa pubblicazione, voluta dall’Associazione di studi, ricerche e documentazione della Marineria della Penisola Sorrentina.

Allora: com’è strutturato il libro? Ecco. In tabelle proposte in ordine alfabetico insieme al nome del deceduto vengono indicati anche il nome e il tipo di nave su cui era imbarcato, e poi il nome del capitano e l’anno in cui si verificò l’avvenimento, mentre in nota bengono specificate le circostanze del decesso. Appuriamo così che son in tanti a esser morti per «caduta», caduta in mare o in coperta, dall’alto dell’albero di maestra (come il piccolo Alessio Palma), o di quello di mezzana, o di quello di parrocchetto, o anche dal pennone di velaccio («mezzana», «parrocchetto» «velaccio»; espressioni che sanno di avventura e magari a chi legge fanno venire in mente Long John Silver e Corto Maltese, ma poi uno si riscuote e con un soprassalto si rende conto che qui non siamo in un romanzo né in un fumetto, e che a ognuno dei nomi trascritti corrispondeva un uomo in carne ed ossa, un uomo che mai più avrebbe rivisto la sua famiglia). E tanti altri son stati portati via da un maroso durante le tempeste, come il capitano Gennaro Lauro, a proposito del quale (in una successiva sezione del libro in cui son riportati «i casi più significativi di scomparizione») si legge che, per tenare di salvarlo, si provvide a gettare in acqua «sagole e pezzi di legno», ma il defunto «essendo vestito con grossi panni e stivali» «subito sparì dalla superficie del mare». Poi ci sono i morti dalla malattia: una folla. Uccisi dalla febbre gialla (alla fine dell’Ottocento la febbre gialla faceva strage), dal colera, dallo scorbuto, dalla bronchite, dalla congestione viscerale, dall’«emicrania», dall’«apoplessia fulminante». Spesso la malattia non è specificata e genericamente si parla di «morte naturale», ma, trattandosi di uomini giovani e di ragazzi, è lecito supporre che non dalla natura, ma dagli strapazzi e dalle disagiate condizioni di navigazione sia stato determinato il decesso. E poi c’è chi ha perso la vita per intossicazione da fumo nel corso di un incendio a bordo, chi per esplosione della Santa Barbara, chi precipitando dalla «serpa», «mentre soddisfaceva bisogni fisiologici», chi «per salvare un collega caduto in un deposito d’acqua», chi per una bravata, come quel Luigi Prati che ne 1874 annegò nella rada di Akysab, «nel tentativo di raggiungere a nuoto la nave inglese su cui era imbarcato un amico».

Naturalmente, accanto a quelli dei singoli uomini, son passati in rassegna pure i casi di ecatombe collettiva, in cui è tutto l’equipaggio a colare a picco con il bastimento. Casi determinati non solo dalla violenza del mare (terribili son le tempeste rappresentate nelle riproduzioni di ex-voto che corredano il volume, solo che lì, a significare che non è persa ogni speranza, in un angolo in cielo ecco affacciarsi la Madonna col Bambino) ma anche dalla violenza degli uomini, come quando nel 1866 durante la battaglia di Lissa fu affondata la corazzata «Re d’Italia» (e in quell’occasione morì fra gli altri il marinaio fuochista Raffaele Esposito di cui è testualmente detto che aveva «anni 25, mesi 3, giorni 21»), o quando il piroscafo Adelaide venne silurato nel 1917 mentre a Taranto andava a Sangunto. E, accanto ai naufragi di cui si conoscono le circostanze, le già citate «scomparizioni», termine usato quando non si sa né dove né quando la nave si sia inabissata. Che è quel che, per esempio, successe al brigantino a palo «Giuseppina R.» del quale, partito da Savannah il 23 ottobre 1893, «non si era più avuta notizia alcuna, talché si riteneva scomparso con undici persone di equipaggio, il capitano compreso, più Ruggiero Maria Giuseppa di Nicola, moglie di esso capitano, di anni 21» (forse proprio la Giuseppina che dava nome al battesimo, povera Giuseppina, fresca sposa che non aveva voluto separarsi dal marito!). E infine un caso a sé: il brigantino «Nord America», nel 1908 travolto dall’eruzione del vulcano La Pelèe alla Martinica.

In conclusione un libro prezioso perché costituisce una testimonianza intesa a perpetuare il ricordo di chi non c’è più, ma al tempo stesso una sorta di epopea che esalta il dinamismo della comunità marinara della nostra costiera. Una comunità che con i carichi più diversi – zucchero, caffè, carbone, resina, trementina – ha viaggiato su tutte le rotte del mondo – da Montevideo a Newcastle, da Buenos Aires a Nantes, da Cile a Queenstown – dando vita a un’avvincente, anche se drammatica, pagina di storia. Una pagina di storia di cui una volta tanto il Mezzogiorno può andar fiero senza riserve.

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