The Wall è una mostra che cambierà sicuramente il vostro modo di visitare una mostra.
È un eccezionale mix di pittura, scultura, grafica, installazioni, design, musica, cinema, interazione, realtà virtuale, architettura… è una storia che attraversa i secoli attraverso tutte le arti.
È un racconto che comincia qualche decina di migliaia di anni fa, quando l’uomo nella sua caverna cominciava a lasciare la sua impronta, il segno della sua mano. E che poi prosegue quasi dondolandosi nel tempo da una parte e invitandoci continuamente all’esperienza dall’altra.
Si perché The Wall è una mostra che ti spinge a fare cose che in una mostra normale non faresti mai: cancellare grandi muri virtuali con i gesti della mano, decifrare stralci di letteratura con dei vetri colorati, sfogliare grandi libri pieni di graffiti, scrivere sulle pareti, attraversare muri di luce…
Ma è una storia che passa anche attraverso le grandi opere d’arte e ci spinge a mettere a confronto la matericità e la concretezza di alcune opere, come quelle di Arnaldo Pomodoro, Giuseppe Uncini, Mimmo Rotella, o la leggerezza delle e la spazialità di opere come quella di Fontana e di Christo.
È una storia che è tenuta insieme da sottili linee che attraverso una mappa virtuale ci guidano alla scoperta di questo mondo fatto di muri: da quello politico a quello psicologico, da quello pubblico a quello funzionale, da quello sociale a quello espressivo fino ad arrivare al muro della memoria.
Una mappa che ci porta in un corridoio dove ogni visitatore è libero di scrivere quello che vuole, di lasciarci un proprio ricordo o una propria impressione, una propria idea, una propria testimonianza, liberamente, senza divieti e senza censure. Una mappa che ci accompagna fra le idee di centinaia di architetti che hanno provato ad immaginare muri per la Città di Bologna.
Una mappa che ci porta a sbattere il muso contro le porte chiuse dell’inaccessibilità, facendoci provare cosa significa stare dall’altra parte, senza poter venire da questa.
Fino ad imbattersi, addirittura in un muro fatto di muri. Un muro dove ogni mattone racconta un muro contemporaneo che ancora oggi esiste, e divide.
E poi, non potevano mancare i Pink Floyd con quel muro diventato ormai icona della storia del cinema. Dal concept album di Roger Waters, fino al film di Alan Parker del 1982. Muro tangibile e muro metaforico di quel viaggio andata e ritorno verso la follia del protagonista Pink (nel film interpretato da un giovanissimo Bob Geldof) che vediamo nelle foto del Backstage scattate da Appleby. Scopriamo così anche le meravigliose illustrazioni di Scarfe, che hanno impreziosito il film e lo hanno reso memorabile.
E poi il buio, le carceri senza via d’uscita di Piranesi dove ci sembra sempre di intravedere una luce in lontananza, una via di fuga, ma che invece diventa un rompicapo senza fine.
Una strada verso la salvezza, invece la troviamo in questo sorprendente muro di luce di Hitomi Sato, un’apertura soffusa e leggera, che ci avvolge delicatamente per lasciarsi vedere, ascoltare, toccare.
Per sentire il muro, entrandoci dentro.
E alla fine la mostra ci lascia con un grande interrogativo: due sculture di Matteo Pugliese, due figure che non ci spiegano se si stanno liberando o sono lì incastrate per sempre a quel muro a cui sono aggrappate.
Non ci dicono se quel muro è una costrizione o ormai fa parte di loro in un’eterna riflessione sul confine, sul limite.
The Wall è una mostra densa, una mostra che non dà risposte ma lascia domande, una mostra che ci spinge a superare qualche nostro muro, ad abbatterne, realmente qualcun altro, una mostra che ci chiede ancora una volta di abbandonare la nostra zona di comfort di visitatori contemplativi, e a catapultarci letteralmente in una nuova e grande avventura culturale, per catapultarci in una stimolante e originale avventura culturale.
Ascolta qui il podcast del video
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