Oggi voglio fare un discorso di carattere un po’ generale sul lavorare nel settore arte e cultura. Forse sarà anche un po’ impopolare, ma cerchiamo di guardare in faccia alla realtà.
Lavorare in questo settore non è ne’ più ne’ meno come lavorare in tanti altri ambiti.
Spesso chi lavora con l’arte e con la cultura invece ha un atteggiamento quasi da missionario votato al martirio. Sbagliato! In questo lavoro non si diventa mai santi, semplicemente perché è un lavoro come tanti altri e come tale va preso e gestito.
Poi è ovvio che se uno è appassionato di quello che fa, lo fa meglio e più volentieri, ma ci sono delle regole ben precise e non sono altro che le regole basilari del business, come per tante altre attività. Quindi ci sono ore, stipendi, business plan, strategie di marketing, gare di appalto, politica di mezzo, soldi, successi, insuccessi, soddisfazioni, insoddisfazioni, proprio come in qualsiasi altro lavoro.
E allora perché sembra sempre che dovresti immolarti per la causa?
Vi faccio un esempio. In casa editrice spesso mi sento dire dagli artisti che non è giusto che per fare un catalogo loro debbano pagare. La frase ricorrente è: io ci metto già le opere tu sei l’editore, il libro pagalo tu! Poi ci guadagni vendendolo… perché ogni artista pensa che il suo catalogo sarà il bestseller dell’anno e venderà milioni di copie.
Ma dico io, perché? Non è che campo d’aria e posso fare beneficenza a tutti quelli che passano: io ti metto a disposizione la mia professionalità, i miei servizi e tu, molto semplicemente li paghi come paghi il dentista o le tele e i colori con i quali dipingi. Non credo che vai alla ‘mesticheria’, prendi tutti i tuoi bei tubetti e poi gli dici: vabbe’ ma io poi ci faccio i quadri, perché mai dovrei pagarli?
Altro esempio – questa volta riguardante il mondo mostre – giorni fa parlavo con delle persone che mi hanno chiesto una consulenza per organizzare una mostra: gli ho fatto vedere una bozza di budget all’interno del quale c’era anche la voce dei costi di organizzazione che comprendeva in pratica i soli costi fissi di struttura. E loro non si capacitavano perché questi costi non me li accollassi io.
Allora: mi hai chiamato tu, già non ti sto facendo pagare il tempo che sto perdendo con te, ancora non abbiamo deciso quale sarà il mio guadagno, e in più? Ti devo anche regalare i costi che io ho per organizzare la mostra a te? C’è qualcosa che non quadra.
Quindi, morale della favola, bisognerebbe che tutti noi che lavoriamo quotidianamente a contatto con l’arte e la cultura ci rifocalizzassimo sulla parola “lavoriamo” e quindi imparassimo a rispettare i ruoli, le competenze, le professionalità e anche l’economia di tutto questo lavoro.
Con questo non voglio dire che bisogna essere solo cinici e calcolatori, assolutamente. Però, un po’ più di approccio business a tutto questo, a volte non guasterebbe.
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