Quanto le nostre aziende culturali sono realmente legate al territorio?
Quanto i Palazzi, i luoghi dove si tengono le grandi mostre che fanno centinaia di migliaia di visitatori restituiscono al territorio quello che il territorio gli da?
Credo che le aziende in generale, ma soprattutto quelle che lavorano in ambito culturale, dovrebbero essere in grado di sviluppare una responsabilità sociale e ambientale nel contesto in cui operano. Dovrebbero fare dell’etica una parte importante della propria attività.
Questo si può ottenere in diversi modi: uno, per esempio potrebbe essere quello di migliorare il rapporto prezzo-qualità dell’offerta culturale rendendola così accessibile anche alle fasce più ‘deboli’;
L’arte e la cultura dovrebbero uscire dai palazzi e invadere anche i luoghi dove c’è disagio. Questo non solo perché, come è stato dimostrato, l’arte fa bene alla salute, ma anche perché la visita ad un museo o ad una mostra, in qualche modo spinge le persone a sviluppare una sorta di empatia con le opere riuscendo ad uscire dall’isolamento, e quindi riuscendo a ricreare anche rapporti con gli altri. Tutte cose che sono fondamentali per il benessere della persona.
In Inghilterra si parla di ‘art therapy’ ormai dagli anni ’80: oggi, l’obbiettivo del parlamento inglese è diventato quello di realizzare un centro di salute e benessere che sia in grado di mettere in campo strategie che possano sfruttare il potenziale terapeutico dell’arte.
Un altro esempio interessante viene dalla Francia dove già da dieci anni il ministero della cultura e quello della salute, lavorano a braccetto per condividere una politica comune di accesso alla cultura, per tutto il pubblico degli ospedali convenzionati creando gemellaggi tra associazioni culturali di tutti i tipi e strutture ospedaliere. Partecipano, ovviamente i grandi Musei come il Louvre, il Centre Pompidou, il Museo di Montmartre, il Museo Picasso, ma anche tantissime realtà minori che tutte insieme svolgono un lavoro veramente molto utile e interessante.
E in Italia cosa si fa?
Purtroppo, sembra non molto. Sebbene, ci siano nel nostro paese anche tante realtà non pubbliche che insieme potrebbero sviluppare dei programmi interessanti, sembra che non si muova più di tanto.
Con con-fine Art, è già un po’ che stiamo cercando di lavorare su questo fronte: abbiamo fin dalla prima mostra a Palazzo Belloni attivato una collaborazione con ASP Città Metropolitana di Bologna che prevede il nostro coinvolgimento e la nostra partecipazione al progetto “a casa mia” che riguarda gli adolescenti in situazioni di disagio, accolti nelle strutture bolognesi (che provengono da paesi dell’est, Africa e Bangladesh); gli adolescenti, con i loro educatori e con le loro famiglie affidatarie possono entrare quando vogliono gratuitamente in mostra. L’obiettivo è quello di estendere il progetto ad anziani (ad es. malati di Alzheimer o di demenza senile) e ai giovani affetti da autismo.
Qualcosa quindi si fa, in Europa già se ne parla da tempo. Non sarebbe il caso che cominciassimo a parlarne di più anche noi?
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