È uscita questa notizia, qualche mese fa, sul Giornale dell’Arte: “Chi era il «Giardiniere» di van Gogh. Mistero risolto”. Non ci dormivamo la notte ma da oggi possiamo ricominciare a fare sonni tranquilli perché, finalmente, è stato identificato il modello del Ritratto di Giardiniere conservato alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma.
Scherzi a parte, questo è sicuramente uno dei più bei ritratti fatti dall’artista durante il periodo del manicomio. Il soggetto pare essere un certo Jean Barral, un contadino che probabilmente lavorava a giornata nei giardini dell’Ospedale Psichiatrico di Saint-Paul-de-Mausole in Provenza.
Non vi sto a raccontare tutti i passaggi che hanno permesso di arrivare a questa conclusione – se vi interessa andatevi a leggere l’articolo che trovate linkato nel blog o nella descrizione su YouTube – ma la domanda che mi faccio e vi faccio è: ma adesso che lo sappiamo, che ci cambia?
Cosa cambia se il soggetto
di un’opera d’arte è Jean Barral o Tizio Caio, qual è il valore che questa
informazione aggiunge all’opera?
Adesso è più bella o più affascinante di prima?
La guarderemo con occhi diversi?
Ci aiuterà ad entrare nella mente di Van Gogh per capire cosa gli passasse per
la testa mentre era in manicomio?
Sicuramente no.
E allora perché c’è qualcuno che per anni e anni si mette lì e si scervella, fa ricerche, impiega del tempo a cercare informazioni del genere?
Non lo so… forse è questo gusto della ricerca un po’ fine a sé stessa
che rapisce molti storici dell’arte sempre a caccia di quella notizia o
quell’aneddoto che nessuno sa.
A volte ho la sensazione che ci sia un accumulo di informazioni un po’ inutili
o non molto utili alla comprensione né dell’artista né della sua opera, ma che
anzi, forse ci distraggono anche un po’ dal rapporto con l’opera che, a mio
avviso, dovrebbe sempre essere più esperienziale che nozionistica.
Se capitate a Roma, quindi andatela a vedere. Io in generale ho questo approccio con i musei molto grandi. Anziché farmi il tour de force vado a vedermi delle opere mirate che ho già individuato e cerco di godermene poche ma bene.
Quindi se andate a Roma fate un salto alla GNAM e dategli un’occhiata: non è molto grande, è una tela 61×50, ma è davvero un’opera molto piena di significato: intanto c’è il tema del ritratto, che Van Gogh amava molto e riteneva la parte migliore del suo lavoro; poi c’è il rapporto con la natura: in questo quadro -cosa abbastanza rara – troviamo un paesaggio molto ben definito e scandito: ci sono tutti questi fili d’erba molto ritmati che si contrappongono agli arbusti molto realizzati con una pennellata più caotica.
Un altro tema interessante in questa opera è quello degli accostamenti di colori primari e complementari: ad esempio nella maglietta e nella camicia si alternano il verde e il rosso e il giallo e il blu, con una scelta proprio metodica, abbastanza ricorrente nelle opere di Van Gogh.
Insomma, un bel quadretto, che abbiamo qui in Italia, e per di più è solamente uno dei tre presenti nelle nostre collezioni pubbliche, ed è sicuramente il più importante.
Quindi adesso che sappiamo
anche chi è possiamo anche andare lì e dire alla Galleria di cambiare la
didascalia: chissà se l’hanno già fatto?! Ho provato a controllare sul sito
della GNAM, ma il loro sito è una cosa davvero imbarazzante: non si capisce come
un museo così importante nel 2019 possa avere un sito così inutile. Per fortuna
c’è Google arts and
culture che sopperisce alle nostre lacune e ci fa fare un viaggio in
questo dipinto che possiamo vedere con una definizione davvero pazzesca. Si
riescono a vedere le pennellate grasse e materiche di Van Gogh quasi come se
fossimo davanti all’opera.
Anche Google, però, ancora non sa che non è un giardiniere e che si chiama Jean
Barral. Diciamoglielo!
È uscita questa notizia, qualche mese fa, sul Giornale dell’Arte: “Chi era il «Giardiniere» di van Gogh. Mistero risolto”. Non ci dormivamo la notte ma da oggi possiamo ricominciare a fare sonni tranquilli perché, finalmente, è stato identificato il modello del Ritratto di Giardiniere conservato alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma.
Scherzi a parte, questo è sicuramente uno dei più bei ritratti fatti dall’artista durante il periodo del manicomio. Il soggetto pare essere un certo Jean Barral, un contadino che probabilmente lavorava a giornata nei giardini dell’Ospedale Psichiatrico di Saint-Paul-de-Mausole in Provenza.
Non vi sto a raccontare tutti i passaggi che hanno permesso di arrivare a questa conclusione – se vi interessa andatevi a leggere l’articolo che trovate linkato nel blog o nella descrizione su YouTube – ma la domanda che mi faccio e vi faccio è: ma adesso che lo sappiamo, che ci cambia?
Cosa cambia se il soggetto
di un’opera d’arte è Jean Barral o Tizio Caio, qual è il valore che questa
informazione aggiunge all’opera?
Adesso è più bella o più affascinante di prima?
La guarderemo con occhi diversi?
Ci aiuterà ad entrare nella mente di Van Gogh per capire cosa gli passasse per
la testa mentre era in manicomio?
Sicuramente no.
E allora perché c’è qualcuno che per anni e anni si mette lì e si scervella, fa ricerche, impiega del tempo a cercare informazioni del genere?
Non lo so… forse è questo gusto della ricerca un po’ fine a sé stessa
che rapisce molti storici dell’arte sempre a caccia di quella notizia o
quell’aneddoto che nessuno sa.
A volte ho la sensazione che ci sia un accumulo di informazioni un po’ inutili
o non molto utili alla comprensione né dell’artista né della sua opera, ma che
anzi, forse ci distraggono anche un po’ dal rapporto con l’opera che, a mio
avviso, dovrebbe sempre essere più esperienziale che nozionistica.
Se capitate a Roma, quindi andatela a vedere. Io in generale ho questo approccio con i musei molto grandi. Anziché farmi il tour de force vado a vedermi delle opere mirate che ho già individuato e cerco di godermene poche ma bene.
Quindi se andate a Roma fate un salto alla GNAM e dategli un’occhiata: non è molto grande, è una tela 61×50, ma è davvero un’opera molto piena di significato: intanto c’è il tema del ritratto, che Van Gogh amava molto e riteneva la parte migliore del suo lavoro; poi c’è il rapporto con la natura: in questo quadro -cosa abbastanza rara – troviamo un paesaggio molto ben definito e scandito: ci sono tutti questi fili d’erba molto ritmati che si contrappongono agli arbusti molto realizzati con una pennellata più caotica.
Un altro tema interessante in questa opera è quello degli accostamenti di colori primari e complementari: ad esempio nella maglietta e nella camicia si alternano il verde e il rosso e il giallo e il blu, con una scelta proprio metodica, abbastanza ricorrente nelle opere di Van Gogh.
Insomma, un bel quadretto, che abbiamo qui in Italia, e per di più è solamente uno dei tre presenti nelle nostre collezioni pubbliche, ed è sicuramente il più importante.
Quindi adesso che sappiamo
anche chi è possiamo anche andare lì e dire alla Galleria di cambiare la
didascalia: chissà se l’hanno già fatto?! Ho provato a controllare sul sito
della GNAM, ma il loro sito è una cosa davvero imbarazzante: non si capisce come
un museo così importante nel 2019 possa avere un sito così inutile. Per fortuna
c’è Google arts and
culture che sopperisce alle nostre lacune e ci fa fare un viaggio in
questo dipinto che possiamo vedere con una definizione davvero pazzesca. Si
riescono a vedere le pennellate grasse e materiche di Van Gogh quasi come se
fossimo davanti all’opera.
Anche Google, però, ancora non sa che non è un giardiniere e che si chiama Jean
Barral. Diciamoglielo!
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