Ma Banksy, ci fa o ci è?
Non so se avete presente l’opera Girl with baloon, quella della bambina in bianco e nero che le scappa il palloncino a forma di cuore rosso? Insomma, una delle opere più famose, viste e riproposte in tutte le salse di Banksy.
Bene, una versione di quest’opera è andata all’asta da Sotheby’s e, non appena è stata aggiudicata per la modica cifra di un milione di sterline, si è praticamente autodistrutta fra lo stupore e lo sconcerto dei presenti. Si, si è proprio autodistrutta: all’interno della cornice era stato montato un meccanismo simile a quello dei distruggi documenti che tagliano a striscioline tutti i fogli di carta. Questo tagliava a striscioline tutta la tela… davvero non male come invenzione! Avrei anch’io un lungo elenco di opere che vorrei mettere in questa cornice.
Fra l’altro, se non l’avete ancora visto, c’è un bellissimo video pubblicato dallo stesso Banksy su YouTube intitolato Shred the Love – The Director’s cut che rivendica l’operazione e fa vedere come è stato montato l’accrocchio nella cornice, come è stato azionato il meccanismo durante l’asta e le facce un po’ sorprese, un po’ perplesse, un po’ sconvolte dei presenti… la gente non sapeva effettivamente cosa pensare! Simpatico, guardatelo, io mi sono divertito.
Ovviamente la distruzione di un’opera da parte di un’artista non è una cosa mai vista, ma probabilmente non è mai successo durante una battuta d’asta. Il vago sospetto che la cosa sia avvenuta in combutta con Sotheby’s c’è, anche se nel video si cerca di dimostrare che la casa d’aste fosse totalmente all’oscuro di tutto. Ma come nessuno si sia potuto accorgere che quella cornice pesasse un accidente o come la batteria all’interno non si sia scaricata (pare che l’opera fosse stata acquistata nel 2006!) rimarrà forse per sempre un mistero.
Non si può però ignorare il fatto che da un’opera – si famosa, ma se vogliamo anche un po’ banalotta – ne sia venuta fuori una nuova, inedita e sicuramente più concettuale che probabilmente, prima o poi verrà venduta ad una cifra notevolmente maggiore, data la storia e la performance che si porta dietro. Anche Sotheby’s non ha mancato di sottolineare che con questa operazione Banksy si è abilmente inserito nelle pagine della storia dell’arte.
Quindi la domanda è: performance di critica e sberleffo al sistema o gran bella operazione di marketing che genera visibilità e audience ad una vendita di un’opera che probabilmente sarebbe passata abbastanza inosservata?
Consideriamo che solo il video fino ad ora ha totalizzato quasi tre milioni di visualizzazioni…
Il confine è molto sottile e non è detto neanche che ci sia, ma ci spinge a riflettere su quanto la provocazione nell’arte sia solo uno strumento per attirare l’attenzione su sé stessi, far girare il proprio nome, stupire e, in ultima analisi far alzare le proprie quotazioni. Insomma, un vero e proprio strumento di marketing.
Se uno volesse davvero andare contro il sistema basterebbe semplicemente non vendere le proprie opere e sarebbe già quella una cosa un bel po’ controcorrente. Invece no, il mercato lo vogliamo, salvo poi criticarlo e sbeffeggiarlo. Quindi che fai? Sputi nel piatto in cui mangi? Almeno apparentemente sì. E il cuoco di questo piatto che fa? Si offende? Assolutamente no, cavalca l’onda e subito lo presenta come un nuovo piatto, molto più saporito di quello precedente perché è pure condito con ‘sputo d’artista’.
Lungi da me l’intenzione di stare qui a fare la morale a Banksy – che non si sa neanche chi è, o ‘quanti’ è – quello che mi interessa è capire quello che sta dietro a questo genere di operazioni.
Sicuramente non stiamo parlando di un graffitaro di periferia sprovveduto e neanche così anarchico come vorrebbe far credere. Un esempio è che già a marzo 2018 era apparso un articolo su Marketing Week che sosteneva che l’artista stesse registrando il suo marchio per una ventina di categorie merceologiche: pittura, poster, libri, matite, materiale artistico, pennelli e dipinti, gioielli, arredamento, abbigliamento, giochi ecc. Insomma, non male per un “fiero detrattore della mercificazione dell’arte” (come viene definito da Wikipedia).
Ripeto, non che ci sia niente di male a creare e poi vendere in tutti i modi, anzi: io sono il primo che sostiene che gli artisti (e la cultura in generale) debbano prestare un po’ più di attenzione al marketing per rendere il proprio lavoro sostenibile e uscire dallo stereotipo del maledetto che non può vivere di quello che fa. Però nelle cose un minimo di coerenza ci vorrebbe e, soprattutto, bisognerebbe cercare di non prendere in giro il proprio pubblico.
Tornando al taglio della tela (detta così sembra un Fontana!) inutile dire che la cosa è diventata virale e sia la gente che i grandi brand – come addirittura per esempio IKEA – hanno cominciato a tagliare qualsiasi cosa. Quindi ancora una volta ha vinto lui ed è il suo brand che se ne va in giro automaticamente.
Alla fine, la domanda che mi faccio e che vi faccio è:
Ma può ancora esistere l’artista che se ne sta chiuso nella sua bottega ed esce solo quando deve andare in galleria a fare le mostre?
O bisogna per forza essere dei promotori di sé stessi facendo dell’arte solo uno strumento al servizio del marketing?
Secondo voi ci può essere un compromesso fra le due cose?
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