Dentro le Gallerie | Galleria Di Paolo

Nicolò Di Paolo racconta la Galleria Di Paolo Arte di Bologna.

Ascolta qui il podcast del video:


Gino: Oggi siamo alla galleria di Paolo “Arte di Bologna”, che è una galleria forse fra le più giovani di Bologna. Giovane relativamente, perché poi è attiva ormai dal 2003 circa. Come è incominciata questa avventura, da dove siete partiti?


Nicolò: La galleria è nata su iniziativa mia e di mio fratello Fabio. Eravamo piuttosto giovani, perché avevamo forse neanche 30 anni, però c’era l’entusiasmo di questo settore in cui ci siamo avvicinati, diciamo per tradizione di famiglia. Quindi c’era un attento collezionismo, per tanti anni, da parte dei nostri genitori e un po’ alla volta, volente o nolente, ci siamo avvicinati. Nel senso che, è chiaro che a 15 anni forse non era la giornata ideale quella passata in un museo o in una casa d’aste, però diciamo che lentamente questa passione trasmessa dai genitori ci ha contagiato. Poi ad una certa età abbiamo detto: perché non cerchiamo di mettere a frutto… e così è nata questa iniziativa nel 2002, e adesso nel 2018 siamo ancora qui, con tutte le difficoltà e le gioie del caso.


G: Quindi nascete comunque su una collezione già presente…

N: Sì, chiaramente noi, appena nati dal punto di vista di galleria, alle spalle avevamo un po’ di esperienza legata a un mercato un po’ più storico di collezionismo. Quindi diciamo che le nostre basi erano chiaramente di quel tipo, quindi ci siamo avvicinati ai maestri storici italiani, soprattutto del ‘900. Le nostre basi, le nostre prime esperienze, erano di quel tipo.


G: Infatti se ricordo bene una delle prime mostre fu proprio sulla transavanguardia…

N: Sì, è stata la prima mostra, fu proprio sulla transavanguardia, con gli artisti del movimento, con Chia, Clemente e Palladino. Fu una mostra che comunque ci introdusse in un mercato che per noi era completamente nuovo, però c’era tanto entusiasmo, voglia di riconoscere, e di guardarsi attorno. Avevamo intenzione comunque di tenere sempre fermo l’interesse sul novecento classico, sui movimenti importanti del ‘900. Però, essendo giovani avevamo voglia di avvicinarci e di dare uno sguardo alla all’arte contemporanea del momento, diciamo anche quella ultima. E quindi la galleria è nata con questi presupposti, cioè un occhio chiaramente importante al novecento storico, guardandosi attorno, lavorando anche con dei giovani.  


G: Quindi in un certo senso siete partiti da qualcosa di consolidato, però poi piano piano avete cercato anche di staccarvi e fare un po’ di ricerca sul contemporaneo. Riuscite a fare talent scouting? È facile oggi per una galleria come questa avvicinarsi agli artisti, promuoverli?

N: Allora, diciamo che all’inizio eravamo più ottimisti e fiduciosi in questo tipo di operazione. Quindi mi ricordo anche i primi anni, le mostre legate ai giovani erano diverse, si proponevano anche artisti chiaramente sconosciuti, appena usciti dall’Accademia. E quindi avevamo chiaramente questa voglia di proporre, di far conoscere anche movimenti diversi. Abbiamo visto nel tempo comunque che le difficoltà non sono poche, nel proporre nuovi movimenti, nuovi artisti, nuove forme espressive. Quindi abbiamo sempre voluto mantenere i due settori ben distinti, però volendo dedicarci anche all’arte contemporanea, lavorando con degli artisti viventi: quindi ci sarebbe stato un contatto con l’artista, con il suo studio, e quindi sarebbe stato forse anche più divertente dal punto di vista della mostra, più stimolante. Poi però con il tempo abbiamo visto che è un settore molto difficile, molto competitivo.


G: Ma qual è la difficoltà? È il mondo del collezionismo che sta cambiando, il collezionista che vuole andare più sul sicuro, non vuole rischiare sui nuovi artisti? Perché una volta il collezionista, diciamo 40-50 anni fa, era più aperto forse a rischiare. Oggi invece mi sembra che ci sia un po’…

N: Sì diciamo che la situazione, anche dal punto di vista del collezionista, è cambiata tantissimo  in questi 40- 50 anni. Diciamo che comunque il collezionismo è sempre stato una cosa molto di nicchia, perché un conto è la persona che entra per vedere la mostra, per curiosità… lì diciamo che ci sono tanti giovani, è piuttosto trasversale il tipo di messaggio. Quando si tratta poi della vendita, diciamo che la cosa diventa molto più complessa. Chiaro, oggi chi è che compra arte? Chi ha le possibilità economiche per farlo, e quindi è difficile far avvicinare un giovane, in questo momento storico, a una forma di investimento. Quindi noi abbiamo sempre lavorato con il collezionismo anche di un certo livello, anche più avanti con l’età… privati sostanzialmente, professionisti di una certa età, con un gusto loro già ben formato. Quindi con queste persone è un po’ difficile introdurre anche dei giovani artisti. Qualcuno un po’ più illuminato, un po’ più aperto, c’è, però solitamente il collezionista, il cliente che abbiamo noi cerca l’opera storica di un certo tipo, di un certo anno. Guarda con curiosità, con interesse, alla giovane proposta, però sono mercati completamente diversi.


G: Non c’è un ricambio generazionale del collezionismo? I giovani non ci provano…

N: È molto difficile, purtroppo, forse anche per quello che dicevo prima, per motivi economici, di opportunità, è difficile. Abbiamo qualche giovane, che compra anche opere di fotografia, quindi anche cifre relativamente contenute, però sono sempre delle mosche bianche. Nel senso che, sostanzialmente, parlando francamente, non è ciò che ci fa vivere.  A me fa molto piacere, perché la vendita di un’opera, anche di qualche centinaio di euro, a un giovane collezionista è fonte di grande soddisfazione, sia per me che per l’artista.  Però è un settore molto complicato da questo punto di vista, della vendita a dei giovani. Quindi la difficoltà, per quanto mi riguarda, di un ricambio generazionale di collezionisti, c’è ma è molto contenuto.


G: A proposito di talent scouting: ho visto che voi avete fatto un progetto con l’Accademia di belle arti di Bologna per avvicinare i giovani al mondo dell’arte.

N: Esatto, è stato un bel progetto, che è nato comunque in collaborazione con l’ASCOM e gallerie di Bologna. Siamo 12-13 gallerie, e questo sarà il terzo anno, a giugno, in cui noi partecipiamo – credo che sia la quarta edizione – e si chiama Open Tour. È un bel progetto tra le gallerie private e l’Accademia. Quindi ci sono i docenti dell’Accademia delle varie discipline, che si mettono disponibili e propongono loro giovani un pochino più, a detta loro, più meritevoli. E quindi c’è questo bellissimo progetto che ci vede impegnati un mese e mezzo, tra giugno e luglio, in cui noi diamo la possibilità ai giovani di esporre, quindi conoscere un po’ il mondo delle gallerie, e al tempo stesso dà a noi la possibilità di conoscere comunque il mondo dell’Accademia. Anche perché poi i pittori del domani sono quelli che in questo momento stanno uscendo dalle accademie. Ed è un progetto molto divertente, c’è molta partecipazione di giovani, di pubblico, c’è molto entusiasmo.


G: A proposito di quelli che saranno i nuovi artisti. Oggi l’artista sta nascendo grazie allo sviluppo del web, dei social. Sta nascendo una tendenza per cui i giovani artisti cercano di promuoversi da soli, di vendersi da soli… e questo sul lungo periodo potrebbe mettere in crisi il rapporto con la galleria d’arte, o il lavoro della galleria d’arte. Secondo te che cosa può dare, qual è il valore aggiunto che la galleria d’arte può dare a un artista nel suo lavoro di promozione, nella sua crescita?

N: Per tanti decenni, magari in Italia a partire dagli anni ’50, la galleria è sempre stata il luogo deputato per la nascita del gusto, delle correnti, dei movimenti. Nel corso dei decenni questa tendenza è cambiata moltissimo, nel senso che adesso con le nuove tecnologie, a partire dalle case d’asta, dal web, oggi è tutto molto più difficile. Mentre prima era tutto piuttosto… procedeva tutto molto lentamente, ma molto più sicuro anche per le gallerie. Oggi invece il panorama è completamente cambiato: come tanti settori sono cambiati, è cambiato anche questo. Quindi la galleria ha cambiato profondamente ruolo e incidenza sul mercato. Non nascondo che oggi ci sono delle grosse difficoltà. La galleria è stata più o meno anche bypassata da tante nuove formule, e quindi dobbiamo anche essere molto bravi, attenti, a cercare di mantenere i nostri spazi, la nostra autonomia, la nostra funzione. Però oggi è tutto molto diverso.


G: Voi come state vivendo questo cambiamento? Cioè, per esempio nella comunicazione avete un’ attenzione al mondo social, lo usate, in che maniera?

N: Certo, noi è già da qualche anno, a parte il sito internet che è nato già da molti anni. Diciamo che stiamo ottenendo tantissimo riscontro con la pagina Facebook della galleria, perché lì ci si rende conto subito che lo scambio, il dibattito, il confronto è molto più veloce e immediato. Quindi è chiaro che si rivolge a un mercato di artisti, di collezionisti, molto giovani. Il collezionista di una certa età ancora predilige il contatto diretto, la telefonata, comunque la presenza fisica in galleria. Il giovane invece si avvicina molto, quindi con curiosità, con domande. Però insomma, è un canale indispensabile, oggigiorno ormai è irrinunciabile.


G: Quindi in un mondo che sta diventando sempre più un virtuale, più online, ha ancora senso fare cataloghi, fare libri? Voi cosa fate, continuate a fare pubblicazioni?

N: Decisamente meno. È cambiato tutto in questi ultimi anni: io lo vedo, quando abbiamo iniziato noi, quindi nel 2002, in cui il cliché era sempre l’invito stampato, spedito via posta. C’era il catalogo, o la famosa brochure, e adesso è cambiato tanto. Adesso l’invito si fa via mail, tramite inviti sui social. Quindi  diciamo che l’invito cartaceo lo tengo solo per quelle centinaia di persone che preferisce ancora ricevere in buchetta l’invito, che magari guarda meno internet. Il catalogo stesso, lo facciamo, però in poche copie cartacee, che teniamo noi più che altro noi come memoria storica della galleria.


G: E sempre per quei pochi…

N: Sempre per quei pochi. Perché in tante occasioni, come può essere una fiera, presenti su una scrivania un catalogo che la gente può consultare, sfogliare. Però anche lì, abbiamo il catalogo online, che facciamo girare, che mettiamo sulla nostra pagina, ed è sicuramente molto apprezzato: raggiunge con costi minori tante più persone.   


G: A proposito di fiere… voi come vi rapportate col mondo delle fiere?

N: Noi abbiamo realizzato la prima fiera a Verona, un paio d’anni dopo aver aperto, quindi era nel 2004. E da allora le abbiamo sempre fatte, e purtroppo non si può prescindere dalla partecipazione alla fiera.


G: Quindi è ancora un momento importante, un momento dove è concentrata la maggior parte delle vendite.

N: Sì, ci sono tante fiere in Italia, ce n’è una praticamente ogni 10 giorni, ne sono nate anche troppe. Però le fiere sono fondamentali nel nostro settore, perché la maggior parte dei nostri clienti non sono di Bologna, molto clienti non ci conoscevano, e continuano magari a non conoscere lo spazio fisico della galleria, però attraverso  le fiere è un’occasione per avvicinarli, per vederli. È chiaro che nella fiera c’è anche l’arma a doppio taglio che c’è anche la galleria di fianco, c’è la competitività del mercato però, tu raggiungi tutto un collezionismo, italiano e internazionale, che altrimenti difficilmente avvicinano la galleria. Di contro c’è un certo impegno, anche soprattutto economico, perché le fiere oggi comportano comunque dei costi non indifferenti, però il gioco in questo momento sicuramente vale la candela. Poi ci sono delle fiere di “prima fascia”, più importanti, in cui il collezionismo è più presente, perché si vede, è piuttosto tangibile. Con altre fiere minori… però anche le fiere minori alla fine portano sempre nuove idee, nuove energie. C’è da dire comunque che, anche se certe fiere non sono andate bene a livello di collezionista, però poi c’è stato il contatto con un’altra galleria o con altre gallerie, quindi uno scambio di opere, di opinioni, di pareri, di mostre, quindi fa sentire viva l’attività più di quanto non sia uno spazio fisico, che oggi ha sempre meno ragione di essere.


G: Quindi a quali fiere partecipate di solito?

N: Noi è da 12 anni che facciamo Arte Fiera a Bologna, che secondo me comunque rimane sempre la prima fiera italiana, anche se è molto forte la Fiera di Milano, e comunque Torino nel contemporaneo. Abbiamo fatto altre fiere, abbiamo fatto Verona, anche a Genova altre fiere. Quindi sono tutte ste sicuramente degne di nota, di partecipazione, di attenzione, però è chiaro che hanno dei costi non indifferenti. Quindi cerchiamo di selezionare quelle che più ci danno il giusto rapporto di spesa e di contatti con Il collezionista. E adesso da 4 anni che ci siamo messi, e facciamo solamente Arte Fiera Bologna, a livello di fiere. E comunque è una fiera che poi ci fa lavorare molto bene, non solo nei giorni di fiera, ma ci fa lavorare bene anche nei mesi successivi. E infatti i contatti poi hanno un’onda molto lunga, anche perché dopo si avvicina il collezionista, che hai modo per tanti altri motivi di risentirlo, ricontattarlo nei mesi successivi.


G: Come l’hai visto cambiare in questi anni il mondo delle fiere?

N: Nel mondo delle fiere non ho visto dei grossissimi cambiamenti. Ogni fiera ha un suo direttore artistico, un suo comitato, quindi ha i suoi criteri di selezione delle gallerie. Però il mondo delle fiere l’ho trovato… è chiaro, cambiato il “prodotto” : adesso c’è molta arte contemporanea, molta fotografia, nuove forme.


G: Quindi è cambiata la richiesta forse di più?

N: Quello sicuramente sì. Sono cambiate dal punto di vista del contenuto, mentre quando siamo nati noi come galleria, l’arte moderna faceva da leone negli stand. Oggi l’arte contemporanea, a livello di quantità, sicuramente ha preso il sopravvento. E noi cerchiamo in questo caso un po’ di mediare: per dire, quest’anno in Arte Fiera abbiamo presentato un percorso più storico, quindi con opere dagli anni ‘20 agli anni ’60. Però cerchiamo sempre di introdurre uno o due giovani, che comunque in galleria cerchiamo di mantenere sempre l’elemento fondamentale di novità. Perché comunque ci sono anche giovani collezionisti, ma anche collezionisti magari meno giovani che hanno voglia comunque di avventurarsi in un settore nuovo.


G: Ma quindi lo spazio fisico galleria secondo te perderà sempre più senso andando avanti in questa direzione? I galleristi si muoveranno in un mondo più fluido?

N: Sicuramente sì, io credo che sarà proprio quella la strada. Nel senso che lo spazio fisico della galleria, come luogo fermo, statico, avrà sempre la sua importanza, anche perché comunque occorre che ci sia la sede. Però oggi è tutto molto un cambiamento sempre più veloce quindi bisogna spostare le mostre,  andare incontro al cliente, bisogna andare incontro al mercato che cambia, quindi iniziare a collaborare con altre gallerie, spostare le mostre, le fiere, i social. Quindi tutto è fondamentale per dare uno sviluppo.


G: Sicuramente la galleria “vetrina”, la galleria su strada, forse è la cosa che perderà più senso. Io ricordo, qualche anno fa che sono stato a New York, la maggior parte le gallerie è come se fossero uffici al ventesimo piano di un palazzo. Il passante non è più quello che compra, non è più quello che entra casualmente e compra.

N: Confermo, nel senso che noi in questi 16 anni di attività… forse una volta sola, durante una serata della “Notte bianca” di Arte Fiera sia entrata una coppia e abbia preso così un’opera di Marco Lodola, una cosa molto simpatica. Però solitamente sono sempre trattative piuttosto lunghe, contatti che nascono da tempo con le fiere, il collezionismo, il passaparola. Quindi sì, lo spazio fisico della galleria diciamo che ha un’importanza relativa. Ci vuole, ma potrebbe essere tranquillamente che al terzo, quarto piano di un palazzo senza vetrine… quindi non è così fondamentale. Infatti tutte le gallerie che conoscevo, che ho visto, anche Parigi, sono tutti interni, oppure in situazioni poco raggiungibili. Anzi, tra i due creano quel velo un po’ più di mistero, di ricerca, che il collezionista  spesso apprezza. Comunque anche un po’ la scoperta, c’è questa galleria che fa questa mostra particolare, la gente è incuriosita, andare a cercare anche nell’interno del vicolo meno in vista. E poi è chiaro, magari c’è qualcuno che ha più piacere a mantenere la cosa molto più discreta. Quindi il destino delle gallerie è un pochino da scrivere ancora, in questi anni è cambiato moltissimo.


G: Quindi il profilo del vostro collezionista tipo qual è?

N: Come ti dicevo, avendo lavorato, lavorano tutt’ ora, con un certo tipo di opere, ti posso dire che il collezionista tipo può andare dai 50 ai 70 anni, questo facendo una media. Chiaro, sono professionisti, persone comunque con una certa disponibilità, che hanno la possibilità, la voglia e la curiosità, di acquistare. Non è tanto solo una forma di investimento, è anche una forma di piacere. Però è chiaro che si parla di persone che hanno disponibilità di un certo tipo. Quindi ogni tanto, come ti dicevo prima, c’è qualche giovane collezionista chi si avvicina, e questo mi fa un grande piacere, una grande soddisfazione… sono pochi, però ci sono.


G: Potrebbe essere un modo, una strada, invece per cercare in qualche modo di coltivarlo, di crearlo il collezionismo giovane?

N: Sì, diciamo che forse la cosa migliore sarebbe magari organizzare in galleria degli incontri culturali, in modo da avvicinare il giovane che è un po’ più timoroso. Perché la galleria è sempre stata vista come un oggetto, come un luogo un po’ misterioso, con dei prezzi quasi inaccessibili, con un contesto sempre molto serioso. Invece la galleria è un luogo di scambio, di idee e di opinioni. Io sono contento comunque che la gente poi entri a parlare comunque della mostra in corso, che dica la sua opinione. Diciamo che la vendita è fondamentale nella nostra attività, però c’è tanto altro, nel senso che comunque anche il confronto e lo scambio di idee, di opinioni, è una cosa che a me riempie molto, mi dà grande soddisfazione. Quindi credo che la cosa migliore sia avvicinare Il collezionista, diciamo meno esperto, al mondo della galleria, far vedere che è un mondo comunque molto più semplice e alla mano di quanto non possa apparire dall’esterno. Perché vedo comunque che la gente quando entra ha una sorta di timore, si avvicina con cautela, ha paura a chiedere i prezzi. Infatti a proposito di questo, noi spesso e volentieri nelle fiere i prezzi noi li scriviamo nei cartellini… infatti la gente si stupisce, spesso non capisce, però li scriviamo perché bypassiamo un filtro. Poi scriviamo sempre il nome dell’autore, perché anche se è riconoscibile lo scriviamo lo stesso, perché la gente è  giusto che non si senta in imbarazzo a chiedere. Credo che questa sia una delle strade da percorrere, poi certo, la gente di suo dovrebbe essere interessata, curiosa.


G: Quindi secondo te la galleria può essere un luogo dove si fa cultura, oppure può tornare ad essere un luogo, perché in realtà per tanti anni lo è stato. Forse c’è stato un punto dove si è creato un distacco fra la gente normale e la galleria, vista più come un posto per addetti ai lavori, per i collezionisti. Invece potrebbe essere un luogo dove ci si incontra, si discute, si dibatte, si impara anche.

N: Sì, assolutamente, sono convinto di questo. È chiaro che nell’occasione in cui c’è una mostra un po’ più storica, col maestro più “storico”, forse è indirizzata a un’età un pochino più avanzata, magari è meno  attratto il giovane. Però ho visto delle volte che abbiamo fatto delle mostre dei giovani di fotografia, che la gente, gli stessi artisti entrano, si confrontano, e sono cose molto divertenti comunque. Quindi sono assolutamente sicuro. Poi c’è mostra e mostra: mostre che sono più apprezzate da un certo tipo di pubblico… comunque sono sicuro dell’importanza del luogo. Poi chiaro che oggi… è sempre stato un mondo un po’ chiuso quello delle gallerie, in quanto a opportunità. Quindi tanti artisti, anche meritevoli si sono avvicinati a questa sorta di mercato non attraverso le gallerie ma a luoghi non “idonei”: i famosi bar per gli aperitivi… e io sono piuttosto favorevole, nel senso che da un lato la mia attività mi penalizza, perché comunque diciamo che questo inquina un pochino tutto, di contro però mi rendo conto che un giovane deve avere la possibilità comunque di farsi vedere, di essere apprezzato o criticato. Sono un po’ infastidito, però guardo con un occhio tollerante. Mi rendo conto che tutti questi giorni da qualche parte devono avere la possibilità di esporre a livello istituzionale, non credo che siano molti spazi. Quindi Insomma che chiudo gli occhi.


G: E invece voi in che direzione andate? Quali sono i vostri progetti, la vostra visione dei prossimi anni?

N: Noi più o meno continueremo con il timone in questa direzione, nel senso che noi abbiamo sempre un occhio di riguardo a questo mercato storicizzato, che comunque ci fa sempre lavorare bene e ci ha fatto conoscere, apprezzare. Però vogliamo sempre seguire quei tre, quattro, cinque giovani, capire con loro fin dove possiamo arrivare, perché comunque lavorando con loro mi diverto molto. quindi credo che i due settori li tengo ben distinti, ma li tengo entrambi.


G: Che consiglio daresti ad una persona che si vuole avvicinare a questo mestiere oggi, che volesse cominciare a fare il gallerista  o aprirsi una galleria?

N: Lo guardo con un sorriso. Io se tornassi indietro, con l’esperienza che mi sono fatto, non lo so se lo rifarei onestamente. Perché diciamo che, parlando francamente, sono molte le difficoltà e poche le certezze. Chiaro, uno può mettere un carico di entusiasmo, di esperienza, però il risultato non è scontato. È necessario l’impegno, ma non è sufficiente. Quindi c’è una certa dose di rischio e di incoscienza dietro, come in tutti i settori, per carità, il famoso rischio d’impresa. Però il settore è bellissimo, il contatto con la gente a me piace molto, e quindi è un settore che a me piace. Chiaro, far quadrare i conti a fine mese è una cosa molto diversa…


G: perché poi ogni tanto si perde di vista… che poi in realtà stiamo parlando di un lavoro, di un’impresa, quindi c’è sia il lato romantico, il lato certamente culturale, ma poi comunque è un lavoro e ha bisogno di una formazione manageriale altrettanto quanto un’azienda normale.

N: Diciamo che come tutta l’attività, appena si apre hai la certezza che la gente non ti conosce, e quindi devi farti conoscere, apprezzare. Quindi metti in conto i primi tempi difficili, molto duri, poi ci può stare la vendita, per carità, è auspicata. E quindi c’è da mettere in conto qualche anno di rodaggio, uno di sapere subito che le difficoltà… come una normale startup, non c’è un’attività che non abbia queste incognite. Quindi gambe in spalla, tante idee ci vogliono, tante energie, e poi bisogna avere delle idee soprattutto, distinguersi dagli altri, lavorare seriamente, e i risultati dovrebbero arrivare.

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