Vi proponiamo di seguito l’articolo che Gino Fienga ha scritto da poco sul suo blog. Una riflessione sullo stato attuale delle riviste d’arte in circolazione e qualche buono spunto di riflessione su cosa vorremmo che diventasse la nostra con-fine art magazine. Vi andrebbe di partecipare alla discussione?
Un racconto di mezza estate. Che rivista d’arte vorremmo?
Appuntamento davanti alla Rocca di Vignola.
Matteo pensava che vederci fuori città potesse servire ad evitare l’afa di questi giorni.
Sono arrivato nella piazza deserta e affogata dal caldo con mezz’ora di anticipo. Ne approfitto per scrivere un po’, ho pensato.
Mi sono seduto sulle scale di Palazzo Barozzi e ho tirato fuori il quaderno che con ottimismo porto sempre in borsa, ma che raramente riesco ad utilizzare. Ho cominciato a scrivere le prime righe di quello che adesso state leggendo.
Nonostante l’ombra che nel pomeriggio invade buona parte del piazzale l’aria bollente è mossa solo da un irreale bolero di cicale, instancabile ripetizione di quella fissità, rotta solo da qualche passante che la attraversa per cercare refrigerio dall’unica fontanella d’angolo, miraggio e oasi pomeridiana.
Mi alzo e bevo anch’io. Chissà se l’Osteria della Luna è aperta. Ci sono stato qualche sera prima con Nadia, Emanuele e Roberta. Una serata fra amici a suon di tango che mi ha fatto scoprire questo elegante contesto medievale.
Giro l’angolo senza troppa speranza. Perché dovrebbe? La porta socchiusa nasconde una fresca penombra, ma ho l’impressione che se la aprissi romperei l’equilibrio che sostiene questo pomeriggio.
Matteo mi chiama ma non sa dov’è, da qualche parte dietro la Rocca. Ho capito, ti vengo incontro.
Lo attendo per qualche minuto in un posto sbagliato. Poi ci incontriamo sotto il portico e ci sorridiamo da lontano. Ci abbracciamo.
Lo vedo sempre con piacere, anche se di rado. Il lavoro ci allontana e vado malvolentieri a Milano. Lui torna poco in Emilia.
Ha occhiali grandi e un ciuffo nuovo sulla fronte. La barba rada poco meno incolta della mia.
Come stai? Bene.
Nessuno dei due sta bene. Forse entrambi, per motivi e in modi diversi, ci sentiamo inutili paladini di un mondo che non vuole essere difeso.
Camminiamo. Ci prendiamo un gelato?
L’afa avvolge e sospende il racconto. Ci sediamo ad un tavolino e i dubbi sono un fiume in piena.
Lo scopo del nostro incontrarci non è la commiserazione, ma la comprensione di quello che sta succedendo nel mondo dell’arte contemporanea. Vogliamo chiederci senza pudore se il nostro lavoro ha un significato o se il continuare è solo puro esercizio di stile.
Matteo è disorientato. Ama il nostro progetto, ma vorrebbe una rivista davvero contemporanea, dove si parli anche di mostre, dove i collaboratori scrivano di questioni internazionali, dove non ci siano pezzi per gli amici, dove chi sceglie di scrivere scelga di studiare, di guardare, di passare anche una notte insonne pur di consegnare un pezzo in tempo utile per la messa in stampa.
Sinceramente di “grandi penne” che non spostano un fico secco nel panorama della critica – tantomeno in quello del pubblico – ne abbiamo fin sopra i capelli, dice.
Se ho capito qualcosa, in questi anni, è che non si può prescindere da certe cose, soprattutto se si sceglie di scrivere d’arte e non di gossip.
Gli do ragione.
La rubrica di Silvia è perfetta, continua. Un canale di dialogo “diretto” con gli artisti: è con loro che bisogna parlare, no?
Anche con la gente, penso io.
Rimaniamo per un po’ in silenzio davanti ai bicchieri vuoti di una consolatoria granita siciliana.
Matteo fra qualche giorno parte per la California: Seattle, San Francisco, Los Angeles. Matteo, non tornare, cosa ci fa qui uno come te? Fuggi da questa miseria intellettuale e cerca qualcosa di più di uno stipendio malpagato.
Siamo tutti in crisi. Le riviste d’arte, intendo. Quanto meno in crisi d’identità.
Ma tutti fanno finta di niente.
Ho cercato di parlarne, di mettere i direttori seduti intorno ad un tavolo per creare una rete di salvataggio che ci facesse rimbalzare verso un nuovo modo di relazionarci e verso un nuovo ‘sistema’ più ‘pulito’ e soprattutto trasparente nei confronti dei lettori.
Manca l’ascolto. La voglia e la capacità di mettersi in discussione, la forza dell’umiltà. Manca l’onestà di ammettere che siamo stati venditori di fumo e di illusioni. Manca il coraggio di dire che è arrivato il momento di raccontare la verità. Che i soldi giravano a fiumi e che facevano stare zitti tutti, che le parole si vendevano al chilo e che gli artisti si sono gonfiati all’asta come bolle di sapone. Che ormai è tutto finito, che Giancarlo sopravvive perché c’è ancora qualche vecchio gallerista che non ha il coraggio di dirgli di no, che ci sono vecchie signore con gli stivali di pelle al ginocchio che pensano che basti fare accordi ‘sottobanco’ con i distributori e millantare tirature ciclopiche per distruggere la forza delle idee di chi scrive per raccontare a tutti queste cose.
Prendi un caffè? No, grazie, il caffè non mi va.
E’ incredibile quanto, seduti ad un tavolino di un piccolo centro storico di provincia, possa sembrare improvvisamente tutto chiaro e come la delusione che trasuda dalla pelle possa trasformarsi in entusiasmo che rinvigorisce i nervi.
Mi sento toccare le spalle. Emanuele ci saluta con il suo tono pacato e rassicurante
Prende una sedia dal tavolo di fianco e si aggrega a noi.
Ho sempre pensato che in tre si discutesse meglio. Si rimescolano più spesso le carte.
Con lui la discussione prende dimensione internazionale, è il nostro lasciapassare verso il mondo, attraverso la rete e le mille reti possibili che si possono inventare con realtà molto più ‘illuminate’ di quelle italiane sempre sorde alla collaborazione e piuttosto avvezze all’inciucio.
Ci propone una pizza con Roberta. Matteo ha un appuntamento a Carpi.
Ci incamminiamo verso le auto parcheggiate e forse verso qualcosa che ancora non ci è molto chiaro, ma che forse sarà qualcosa di realmente nuovo, qualcosa che non ci si aspetta.
Dopo cena, tornando a casa attraverso le strade buie dell’Appennino emiliano ho pensato che con Giuseppe prima e in seguito con Matteo, abbiamo sempre lavorato senza vendere parole. Abbiamo scritto pagine sincere, più o meno discutibili, forse condivisibili, ma comunque sempre vere. Oggi ho capito che questa giusta direzione che abbiamo intrapreso sette anni fa deve diventare la via maestra sulla quale proseguire.
con-fine deve essere un magazine sempre più aperto, il luogo d’incontro di tutte quelle persone che ancora credono che esiste una cultura mossa da un unico interesse: la curiosità. Voglio che sia una rivista che parli e conosca direttamente i suoi lettori, uno per uno.
Non voglio una rivista che punti alla quantità ma alla qualità dei lettori.
Voglio scrivere solo a persone davvero disposte all’ascolto e ad un confronto sereno e partecipe, interessate a costruire insieme il cambiamento verso un nuovo modo di ‘fare rivista’, che non sia più una comunicazione di pochi verso molti, ma un dialogo fra pari.
Ma chi sono queste persone?
Voi vi ci riconoscete? Che lettori siete? E soprattutto, che rivista vorreste?
di Gino Fienga
No responses yet