Una grande opportunità che si sta sfruttando forse poco in tutti i luoghi dell’arte, sia nei musei che nelle mostre temporanee è sicuramente quella della comunicazione fatta dal pubblico, la comunicazione da persone a persone.
Questa è una cosa ancora molto sottovalutata, ma in realtà, se ci pensate è una comunicazione a basso costo, e sicuramente molto efficace.
I visitatori si fidano dei giudizi degli altri visitatori, per cui se io direttore del museo ti vengo a dire: vieni a vedere la mia mostra perché è bella, sicuramente è una cosa ottima, per carità – anzi, ce ne fossero direttori che parlano direttamente al loro pubblico, ma è sicuramente meno efficace, se io visitatore vado a dire al mio collega, a un mio familiare, o a un mio amico: vai a vedere quella mostra, perché è veramente una figata!
Quindi cosa potremmo, o dovremmo fare per stimolare il visitatore a fare questo tipo “lavoro” per noi?
Sicuramente, bisognerebbe mettergli a disposizione del materiale, del contenuto, qualcosa che lui si diverta a condividere o che si senta orgoglioso di proporre agli altri. Dalla più banale autorizzazione di scattare le foto alle opere esposte fino ad arrivare a meccanismi molto più complessi attraverso i quali riusciamo a mettere a disposizione contenuti digitali, o la possibilità di accedere a storie, dati interessanti da condividere con gli altri.
La verità oggi è che nella maggior parte dei musei non ci si preoccupa neanche di rendere disponibile il wi-fi nelle varie sale, e molto probabilmente in alcuni musei ci sono ancora sparsi i cartellini con il divieto di fotografare…
Però, mi sembra che – anche se lentamente – stia cominciando a serpeggiare una certa consapevolezza riguardo le digital strategies; anche se da qui ad arrivare ad una applicazione quotidiana ancora ce ne vuole.
Credo che ormai siamo tutti d’accordo a sostenere che la rete offre ai musei e agli spazi espositivi una grande possibilità di comunicazione.
Non tutti, però si convincono del fatto che l’improvvisazione non porta da nessuna parte. Non si può affidare un lavoro così importante allo stagista di turno incaricato di postare due post su Facebook o alimentare il cinguettio su Twitter. Ma questo è quello che per lo più accade. Spesso i social sono usati come l’Ansa: una serie di news buttate lì, e coinvolgimento zero.
La condizione, invece, è che si studi una vera e propria “web strategy”, una strategia di comunicazione web, che ovviamente deve essere in linea con la mission del museo e che riesca ad integrare tutti gli strumenti e i canali che abbiamo a disposizione, dal sito ai canali social.
Ma non basta. La strategia online deve imparare a dialogare con quella (o quelle) offline per poter dare così una coerenza a tutto il discorso e creare un corto circuito fra canali digitali e tradizionali.
Per tornare alla comunicazione tra visitatori, quindi, dobbiamo cercare di stimolarla tanto sulla rete quanto al bar.
Se riusciamo a lavorare in questa maniera, anche se abbiamo un piccolo museo o una piccola galleria d’arte, possiamo costruirci un’identità molto forte e riconoscibile che non serve solo a fare ammuina (come si dice dalle mie parti), ma serve soprattutto per coinvolgere e far affezionare le persone alla nostra mission, che è la base solida su cui possiamo costruire con il nostro pubblico dei rapporti di lunga durata e quindi il nostro futuro.
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