Non sono molti gli artisti che negli anni riescono a mantenere una certa coerenza stilistica e una elegante linearità di percorso. Vidi per la prima volta un’opera di Simona Ragazzi, forse una ventina di anni fa, a casa di un nostro comune amico: era una piccola ceramica raku con delle sole labbra che fuoriuscivano dalla superficie lucida.
Qualche giorno fa, dopo aver visto le sue opere nella mostra Il volto come metafora curata da Vittorio Spampinato a Cà la Ghironda Modern Art Museum, improvvisamente mi è sembrato di aver compreso quella piccola perla, appesa al muro di quella casa fra cento altre cose: era lì, nascosto, il seme di quello che vediamo oggi; dietro quelle labbra, un volto che non potevo scorgere, ma che adesso, a distanza di anni, emerge leggero, ma con determinazione, nella mia memoria.
La scultura di Simona è delicata e sognante: i suoi volti sembrano affiorare dalla materia senza sforzo, o almeno non quello fisico, drammatico, che da secoli costringe i prigioni; piuttosto con fluida serenità, con naturalezza. E allora le sue opere ci riportano a pensare alle mille sfaccettature dei volti della vita, agli stati d’animo, alla bellezza in tutte le sue espressioni, ai sentimenti nascosti sotto la superficie che sono lì e che tentano di uscire, galleggiando fra l’inconscio e la realtà.
Sia che si tratti di argilla, marmo o bronzo, la materia diventa limite sottile fra il dentro e il fuori, calma piatta che attende tranquilla lo svolgersi di un emersione: e allora vediamo prima un accenno, poi una piega, poi una forma in cui cominciamo a scorgere un’antropomorfia familiare, labbra, naso, guance… un volto, che diventa subito specchio di ciò che si nasconde dall’altra parte del limite. E’ un continuo sottrarsi e svelarsi, in una raffinata alternanza di forma-non forma, presenza-assenza che diventa leit-motiv di un’intera esperienza artistica.
Esperienza che parte da lontano e che guarda sempre avanti senza mai chiudersi su se stessa. Esperienza di alta qualità, dove la tecnica e l’arte vanno di pari passo verso la soluzione di una ricerca estetica che, se ha del figurativo, è solo per un pretestuoso incontro con il corpo, ma che trova nel concetto la sua vera catarsi.
Mi immagino quindi che l’ultimo dei volti di Simona Ragazzi abbia lo sguardo proteso e perso nel futuro: ed è lo stesso sguardo di quella “operaia della materia” che con tenacia e pazienza sta percorrendo la lunga strada che porta alla compiutezza dell’essere artista.
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