Sul confine, sul limite ognuno di noi termina e viene determinato,
acquista la sua forma,
accetta il suo essere limitato da qualcosa d’altro
che ovviamente è anch’esso limitato da noi.
(Franco Cassano, 1996)
Sono passati molti anni, ormai, da quando, giovane fra giovani ambientalisti all’arrembaggio di una piccola società sorda alle grida d’allarme per il degrado culturale e materiale incalzante, spendevamo i nostri giorni a cercare teorie di cui essere epigoni, parole da fare nostre e da tenere in serbo come frecce nelle nostre piccole faretre.
Fra tutte quelle scoccate, spesso a vuoto, qualche volta più vicino al cuore della nostra gente, ce ne sono alcune in particolare che continuo a forgiare e a portare con me ovunque io vada, ovunque ci sia da parlare, da scrivere, da spiegare.
Sono le parole rimaste nell’aria in un incontro che organizzammo nella piccola sala consiliare del Comune di Meta e che chiunque può trovare nero su bianco in un libricino incredibilmente denso di saggezza qual è Il Pensiero Meridiano di Franco Cassano.
Ed è proprio da quei pensieri e da quelle pagine che vogliamo ripartire: da un pensiero meridiano applicato all’arte come sintesi di quei valori che l’arte stessa, e gli artisti dovrebbero impugnare, riconquistando la dignità di soggetti del pensiero creativo, riscattandosi dalla condizione di oggetto passivo del pensiero mercanteggiante o di chi mestierante di parole, trova senso, previo compenso, dove un senso davvero non c’è.
Parafrasando Cassano, mercificare stanca.
Ed è proprio la mercificazione e la modernizzazione sterile che stanno facendo del mondo dell’arte un contenitore di contenitori usa e getta, un prodotto della corsa feroce di una società che pensa di avere tutto e che ritiene se stessa la quintessenza della compiutezza. Anche questo è un pericoloso fondamentalismo, perché tenta di nascondere la memoria e tratta la diversità come un male da debellare. Quello dell’arte rischia di diventare (se non lo è già) un mondo sedicente, capace di guardare solo a se stesso e alle proprie smanie di contemporaneità.
Rompere i canoni non implica necessariamente allontanare l’arte dalla vita, dalla storia, dalla realtà.
Quando negli anni ‘60 artisti come Hains e i suoi compagni del Nouveau Réalisme combattevano la loro battaglia contro la dittatura dell’informale strappavano i manifesti dai muri di Parigi per avere nelle loro opere frammenti del quotidiano, oggetti del vissuto: un contatto materiale con il mondo che abbiamo intorno.
Oggi la multimedialità sta allontanando spaventosamente il lavoro dell’artista dalla manualità della creazione da un lato, e dalla realtà che viene sempre di più alienata o psichedelizzata dall’altro; e la critica, che dovrebbe fare da tramite fra la dimensione artistica e il resto del mondo, si perde nell’autocompiacimento di discorsi farraginosi e incomprensibili che non servono ad altro se non a mascherare l’inutilità e la vacuità dei contenuti di cui si assume l’onere della prova, divaricando sempre più il valico che si è venuto a creare fra gli artisti e il loro pubblico.
Il confine su cui vogliamo intraprendere questo nostro cammino, invece, è il luogo del contatto, la linea che unifica e non contrappone, un punto in cui la prima parte della parola con prevalga sulla seconda fine che perde la sua connotazione limitativa e si trasforma in scopo.
La strada di con-fine si muove, quindi, sul fragile perimetro dell’etica, cercando nelle arti visive, insieme al rapporto con le arti altre il sottile filo da non spezzare con la tradizione nonché il legame morale con la società e il mondo con cui vanno ad interagire.
Filo conduttore, quindi, un rapporto costante fra etica ed estetica, tornando a ricercare e a parlare del bello: non di quella bellezza effimera che fa dell’arte un semplice soprammobile per addobbare luoghi dell’apparenza, ma con l’occhio e la penna vigili a contenuti veri, positivi e pro-positivi, che siano guida e necessario avamposto ad un necessario rinascimento delle idee e non più soltanto banale reportage di immagini che ci già attanagliano ormai sparate incessantemente da ogni cannone mediatico.
L’artista sarà il passeur che ci traghetterà da una sponda all’altra di questo fiume, il passatore che clandestinamente ci guiderà nel difficile percorso attraverso questa sottile linea gotica, per sfuggire al bombardamento di banalità di cui quotidianamente siamo vittime.
Torniamo quindi a strappare dai muri delle stanze del contemporaneo gotha artistico i manifesti delle false critiche dietro cui cercano riparo e restituiamo l’arte all’uomo, alla natura, alla lentezza del pensiero meridiano dentro il quale trova le sue origini e le sue fondamenta.
© Tutti i diritti riservati.
Articolo pubblicato su con-fine art magazine n.1 – marzo 2006
No responses yet