Nel panorama delle cosiddette case museo italiane ha un rilievo davvero particolare, per lo splendore delle sue collezioni e la magnifica posizione per cui si affaccia su uno dei mari più belli del mondo, il Museo Correale di Terranova di Sorrento. Non noto quanto meriterebbe, ha appena tagliato il traguardo dei cent’anni, essendo stato aperto nel 1903 nella magnifica dimora della nobile famiglia Correale che, anche grazie a prestigiose parentele come quella con i Colonna di Stigliano, aveva raccolto nei secoli dipinti straordinari, in particolare del Sei e Settecento napoletano, e meravigliosi oggetti d’arte e mobili, ora esposti nelle sale sontuosamente arredate destinate a fare la gioia di chi avrà la voglia – spero che venga a molti – di visitare questo luogo incantato.
Tra i tesori racchiusi in questo scrigno di mediterraneo fulgore spicca un nucleo di un centinaio di dipinti e di oltre cinquecento disegni che documentano in maniera formidabile lo svolgimento della pittura da paesaggio a Napoli nella prima metà dell’Ottocento e nei due decenni successivi. Questa presenza si deve ad una circostanza abbastanza singolare. Uno dei membri della famiglia Correale, Pompeo, fu tra il 1861 e il 1869 allievo di uno dei più importanti paesaggisti dell’epoca Carlo Teodoro Giovanni Duclère.
Di origine francese, nato nel 1812 e vissuto a Chiaia, la zona più frequentata dai viaggiatori e collezionisti stranieri e da quei pittori di paesaggio non solo napoletani che vivevano vendendo le vedute della città, fu iscritto tra il 1829 e il 1831 alla da poco istituita Scuola di Paesaggio del Real Istituto di Belle Arti guidata dall’olandese Anton Sminck Pitloo. Questo pittore di grande fascino considerato il fondatore della cosiddetta scuola di Posillipo destinata a rinnovare, basandosi sul confronto con il vero realizzato attraverso la pratica della pittura en plein air, la visione della natura. Duclère fu il degno erede del grande Pitloo, non solo perché ne sviluppò le geniali intuizioni, ma anche dal punto di vista materiale, avendone sposato nel 1837, quattro mesi dopo la morte del Maestro, la figlia Sofia. Fu un’unione fortunata da cui nacquero cinque femmine.
Ci volle invece un po’ più di tempo, e doveva anche mutare la situazione politica con la caduta dei Borboni e l’annessione di Napoli al Regno d’Italia, perché diventasse a sua volta professore aggiunto nell’Istituto dove aveva insegnato il suocero. La morte di Duclère nel 1869 non interruppe l’attività di pittore dilettante di Pompeo Correale destinata a continuare sotto la guida di Giacinto Gigante che con Pitloo e il nostro compone la magica trimurti della grande pittura di paesaggio napoletana dellìOttocento.
Questa passione del Correale è documentata appunto dal cospicuo nucleo dei dipinti e dei disegni, tutti di paesaggio, che abbiamo appena ricordato. Tra i primi prevalgono i quadri di Pitloo, Duclère, Gigante, tutti magnifici per il loro nitore ottico ottenuto attraverso l’accostamento di macchie colorate, ma ritroviamo anche opere di pittori di diversa nazionalità, francesi, olandesi e tedeschi, variamente presenti sulla scena partenopea, come Pierre Jacques Valaire, Simon Denis, Joseph Rebell, Martin Hartmann, Abrahm Teerlink. Un discorso che vale anche per il corpus della grafica, dove all’ossoluta prevalenza (ben 354) dei fogli di Duclère, segue un nucleo abbastanza cospicuo di Pitloo, per poi passare ai napoletani tra cui Vianelli, Franceschini e Sagliano, e infine agli stranieri, come il tedesco Weirroter e il francese Lemasle.
Non sono mai stati ritrovati i documenti che provassero l’origine di questo straordinario insieme. Ma a risolvere il mistero ci ha pensato ora Luisa Martorelli, curatrice insieme a Mario Russo e Andrea Fienga del volume che raccoglie e identifica, per la prima volta, i disegni, che adesso è possibile confrontare con i dipinti, di Duclère conservati al Museo. L’ipotesi, molto vicina al vero, è che Pompeo Correale abbia ereditato (ma potrebbe avere anche acquistato dalla vedova) il materiale rimasto nello studio del pittore alla sua morte, nella volontà di conservare la memoria e la storia artistica del prediletto maestro. Questo spiega la presenza prevalente di opere della stesso Dulcère, seguita da quelle di Pitloo entrate in famiglia dopo il matrimonio con la figlia, e da quelle dei pittori napoletani e stranieri sopra ricordati che dovevano avere frequentato i due studi. Rimane comunque una raccolta davvero unica per la conoscenza della pittura da paesaggio a Napoli nell’Ottocento. In un arco cronologico che va dagli anni Trenta a quelli Sessanta questi “disegni impeccabili nei quali si legge il colore”, questi “acquerelli arricchiti da piccole figure espressive”, come li descrisse ammirato il grande poeta napoletano Salvatore di Giacomo, ci restituiscono i percorsi seguiti dal pittore nei suoi viaggi di studio, lungo la tradizione Grand Tour, nell’Italia meridionale, tra la Sicilia, la più rappresentata e visitata in date diverse, la Puglia, la Basilicata, la Calabria, la Campania meridionale, in particolare la Costiera Amalfitana e la Penisola Sorrentina, e quella settentrionale tra Napoli, Pozzuoli, Ischia e Procida. Immagini che restituiscono il fascino intatto di un territorio in gran parte destinato alle tragiche trasformazioni che ormai tutti sappiamo.
di Fernando Mazzocca
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Un riconoscimento dovuto a Teodoro Duclère e a coloro che hanno scrupolosamente e minuziosamente lavorato per sottrarlo a quelle ombre che celavano parte della sua vita. E certamente un altro motivo che arricchisce la bellezza del sud dell’Italia e richiama amanti dell’arte e della natura.