È l’immaginazione che ha insegnato all’uomo il senso morale del colore,
del contorno, del suono e del profumo.
Essa ha creato, al principio del mondo, l’analogia e la metafora […].
Poiché ha creato il mondo […] è giusto che lo governi.Ch. Baudelaire, “Lettera al direttore della Revue FranÇaise” in La regina delle facoltà, in Poesie e Prose, a cura di G. Raboni, Mondadori, Milano 1973, p.820
«Silenzio cantatore».
Ho sempre pensato che il verso di questa antica canzone napoletana racchiudesse in sé la più profonda essenza dell’arte, creando un imprevisto legame fra la musica e le arti visive.
Le note del canto incorniciano silenzi che non arrestano il tempo. Le pause sono sospensioni del suono. Il tempo continua a scorrere, a suonare, a cantare, a comunicare.
E così, le arti visive, apparentemente escluse dal campo sonoro (facendo le dovute eccezioni di perfomances e installazioni varie) possono ricollocarsi in una posizione di pari dignità musicale, nella gerarchia di Shopenhaueriana memoria.
Il silenzio, in cui sembra relegata la comunicazione dell’opera d’arte, è solo una parte del messaggio che l’artista aggiunge alla costruzione di tutto il processo creativo. In alcuni casi il principale, ma in un modus operandi che vede l’artista sempre più coinvolto nelle tensioni sociali e storiche, sempre più impastato nella realtà in cui vive e opera, sempre più lontano dall’oggettività della rappresentazione, – ormai scalzata dalla necessità di rapportarsi al proprio mondo interiore e al rapporto di quest’ultimo con input ‘quotidiani’ – il trionfo del silenzio contemplativo, caro soprattutto a tanta pittura iperrealista e metafisica, viene definitivamente e finalmente rotto.
L’invenzione distrugge il soggetto rappresentato in funzione dell’idea che la sorregge, del moto interiore che muove la creazione, del flusso di note e pause che il musicista-artista insegue, come in una fuga su questo immaginario pentagramma che è lo stream of consciousness creativo.
Dal silenzio nasce l’opera d’arte che innesca un processo di comunicazione che riconduce al silenzio come in un loop interminabile di un’improvvisazione jazz dove le note e le pause si alternano senza fine con pari forza evocativa, in un continuo scambio di energia fra il creatore ed il fruitore, che è la vera magia qualsiasi forma d’arte.
Gino Fienga
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Articolo pubblicato su con-fine art magazine n.25 – Primavera 2012
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