La Mostra Pendulum di Urs Sthael al MAST di Bologna

Mi piace quando le mostre non sono solo puro godimento estetico, ma affrontano dei problemi reali, ti spingono a riflettere su questioni contingenti e attuali. Non mi piace quando le opere e le mostre in generale sono una mera rappresentazione di qualcosa. Mi piace quando riescono a dare delle chiavi di lettura non convenzionali, trasversali, magari anche imprevedibili.

È quello che fa la mostra Pendulum di Urs Stahel: c’è stata l’inaugurazione al MAST di Bologna pochi giorni fa. Pendulum è una vera e propria riflessione sul tempo: il pendolo cos’è? È la rappresentazione ideale del moto perpetuo, del movimento ininterrotto nel tempo. Da ‘pendolo’ vengono i ‘pendolari’, quelle persone che ogni giorno, avanti e indietro, fanno questo tragitto sempre uguale casa-lavoro, lavoro-casa.

La vita è una corsa – questo è il titolo del saggio introduttivo di Urs Stahel al cataloghino della mostra che di partenza è una collettiva realizzata con opere presenti nella collezione della Fondazione MAST, ma il progetto curatoriale diventa un percorso di riflessione sui feticci del nostro tempo, i motori, le macchine, le navi, gli aerei, i cellulari e sulla forza, sull’energia che mettiamo (o che sprechiamo, chissà?!) in questo ‘moto perpetuo’ dove tutto si rincorre ad un ritmo forsennato. Viviamo in una società non-stop, sempre collegata, sempre connessa, ma che a volte – ultimamente sempre più spesso – si va a schiantare contro quell’enorme muro in lento ma costante e inarrestabile movimento delle persone che emigrano; le migrazioni sembrano essere oggi il solo fenomeno che ci spinge a fermare tutto, o quanto meno a rallentare. E quindi la mostra cerca di mettere in relazione (o in contrapposizione?!) questi due fenomeni: quindi da un lato la potenza dei motori, dei mezzi di trasporto, dell’accellerazione… dall’altro il rallentamento, i blocchi migratori, la fragilità di chi non ha un posto.

Oltre a questo contenuto così pieno e forte, bisogna dire che la mostra anche esteticamente è molto bella. L’allestimento nella fantastica Gallery del MAST è come al solito impeccabile, pulito e rasenta la perfezione, come si addice ad una mostra di fotografia di alto livello. E ci sono dei pezzi davvero molto affascinanti. Fra i fotografi forse più conosciuti a i non addetti ai lavori ci sono nomi come Mimmo Jodice, Emil Otto Hoppé, Ugo Mulas, e artisti storicizzati come Robert Doisneau, David Goldblatt, Helen Levitt. Ma fra le circa 250 immagini esposte emergono dei pezzi spettacolari come Skaramaghas di Richard Mosse che è un’immagine di 7 metri con una definizione pazzesca, realizzata con uno strumento ottico che riesce a rilevare le differenze di calore fino a 30 km e quindi mette in evidenza tutto quello che è freddo – che appare nero – e tutto quello che è caldo – che è bianco. In questo modo ad esempio tutti i volti delle persone scompaiono totalmente e tutti diventano anonimi, si annullano in mezzo ai containers e ai tir che popolano questo paesaggio portuale. Nella stessa immagine abbiamo il movimento mondiale delle merci, rappresentato dai contenitori e dai tir, da una parte; dall’altra questi uomini senza identità che non possono né andare avanti né tornare indietro e rimangono bloccate in questo limbo immobile in attesa di giudizio dove i containers stessi diventano abitazioni forzate per questi migranti bloccati nel tempo e nello spazio.

A proposito di camion un’altra installazione molto d’impatto è il lavoro di Annica Karlsson Rixon, Camionisti (Bianchi): sono 736 stampe digitali a colori, di 8 cm e mezzo x 12 e mezzo che vanno a formare questa parete fatta di motrici di tir che rendono bene l’idea di questo mondo affollato del trasporto su gomma, di quanti camion ci sono che vanno avanti e indietro, su e giù per le autostrade tutti i santi giorni anche loro rapiti da questo moto perpetuo del pendolo.

C’è, invece, un’installazione di Jacqueline Hassink, IPortrait che lì per lì potrebbe sembrare un po’ estranea alla mostra, ma che poi arriva, piano piano… sono dei grandi monitor in fila sui quali scorrono immagini di persone nelle metropolitane di varie città del mondo che fanno uso del cellulare, mappando in qualche modo la nostra ossessione digitale, il nostro muoverci velocemente restando connessi. È buffo perché vedi questi viaggiatori così immersi nei loro smartphone che sembrano essere in un mondo tutto loro. Ma è interessante fare attenzione al linguaggio del corpo, alle mani che utilizzano questi strumenti, alle espressioni… e sotto i video scorrono tutta una serie di dati riguardanti i luoghi e gli usi del telefono. Lavoro davvero molto interessante.

La mostra termina con una grande opera – grande sia come dimensioni che concettualmente – di Xavier Ribas, Nomadi. È una enorme composizione di immagini che rappresenta un grande ammasso di macerie: Ribas ci racconta il ‘metodo’ usato per sgombrare una sessantina di famiglie zingare che avevano occupato un’area industriale di Barcellona nel 2004. In pratica in pochi giorni con due escavatori demolirono tutta la pavimentazione in cemento costringendo quindi gli zingari a sloggiare. E rimane quindi una striscia informe di macerie – potrebbe sembrare quasi un muro di ammonimento con questi lastroni di cemento divelti e conficcati per terra – che testimoniano questa azione di una violenza esagerata, pur di controllare uno spazio di fatto abbandonato. Piuttosto lo distruggo, ma tu non ci stai, vai via!

Insomma, anche questa volta Urs Stahel e il MAST non si smentiscono e riescono a tenere alto il livello di questo percorso sulla fotografia industriale che hanno intrapreso ormai da cinque anni. Se solo riuscissero a comunicarlo un po’ di più all’esterno e a coinvolgere maggiormente il pubblico questa Fondazione potrebbe diventare davvero un punto di riferimento per la città di Bologna e per la valorizzazione della fotografia che in Italia ha ancora un ruolo abbastanza marginale rispetto ad esempio alle mostre di pittura che rimangono sempre le più gettonate.

A tutti i modi, Pendulum è una mostra che va vista sia perché ci fa mettere in moto il cervello, sia perché ci sono, come abbiamo detto, delle opere e degli artisti davvero di altissimo livello.

Avete tempo fino al 13 gennaio 2019, non ve la perdete!

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