Per lui la ceramica non era affatto un’arte minore, ma al pari della scultura e della pittura gli permetteva di realizzare quell’universo di immagini che facevano la sua cifra espressiva, il suo stile, il suo linguaggio, che Picasso dipanava con la stessa potenza di segno, qualunque fosse la tecnica adoperata.
Consapevoli di questa fondamentale unitarietà dell’opera dell’artista spagnolo i curatori Mariastella Margozzi, Claudia Casali e Gino Fienga espongono una selezione di ceramiche di Picasso accanto a una serie di opere grafiche nella mostra Picasso. Eclettismo di un genio, aperta fino al 12 ottobre nelle sale di Villa Fiorentino a Sorrento.
Il rinnovamento che apportò nel campo della grafica – come più volte abbiamo ricordato in queste pagine – non fu meno radicale di quello che realizzò in pittura, trasformando quelle che nell’editoria erano considerate mere stampe decorative in opere d’arte dal valore autonomo. Basta pensare alle acqueforti che nel 1948 Picasso fece per ‘illustrare’ i poemi di Gongora in cui spicca un immaginifico ritratto del poeta e drammaturgo del Siglo de Oro della letteratura spagnola dallo sguardo fiammeggiante, che ora campeggia nel catalogo edito da con-fine che accompagna la mostra di Sorrento. Oppure, sempre restando nell’ambito delle opere selezionate per questa esposizione, pensiamo sul versante dell’arte astratta, al dinamismo e alla vitalità del suo Baccanale con acrobati (in linoleum) che sfida, anche per la forza del colore, la pallida Bonheur di Matisse.
E se l’importante rassegna di Palazzo Blu a Pisa un paio di anni fa e l’esposizione itinerante di cento incisioni di Picasso che ha appena chiuso a Lecco hanno offerto valide opportunità di vedere dal vivo litografie, acqueforti e stampe picassiane, era diverso tempo che non capitava l’occasione per apprezzare la ricchezza della sua produzione in ceramica che fu al centro di un’ampia mostra in Palazzo dei Diamanti a Ferrara nel 2000. E ora torna protagonista a Sorrento anche grazie alla collaborazione con il Museo delle Ceramiche di Faenza (MIC) che, nel dopoguerra, ebbe in dono dallo stesso Picasso alcune ceramiche fra le quali la variante della celebre colomba della pace su fondo bianco.
In questa rassegna partenopea sfilano piatti dipinti, vasi dalle fattezze muliebri e piccole, preziose, sculture in ceramica, perlopiù uscite dalle fornaci di Vallauris dove Picasso, come ricorda Claudia Casali nel suo saggio in catalogo, nel dopoguerra ebbe modo di incontrare Suzanne Douly e Georges Ramié che gli aprirono le porte de la Madoura, una manifattura attiva fin dal 1938, che realizzava oggetti in terra rossa. «L’artista si avvicinò alla ceramica con la voracità del neofita, con gli occhi del bimbo davanti alla sorpresa del gioco nuovo. Un gioco – scrive la direttrice del MIC – che diventò con il passare del tempo una grande opportunità.». Così fiorirono tori, fauni e sinuose figure femminili, le superfici in ceramica diventarono la tela dove tratteggiare in pochi schizzi scene dal Don Chisciotte e rappresentare la sfida mortale della corrida. Figure essenziali, dal tratto deciso, che rinnovano il fascino della statuaria arcaica e, cosiddetta, primitiva.
di Simona Maggiorelli
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