Con una laurea in veterinaria, illustratore, musicista e copywriter presso l’Agenzia PeepAll Communication Sergio Saggese nasce a Napoli nel 1963.
Dal 2003 collabora con il Laboratorio di Scrittura Creativa “L’isola delle voci” diretto dallo scrittore Nando Vitali (che ancora non mi ha rilasciato la sua intervista:-), e per il blog dello stesso Laboratorio tiene una rubrica web di recensioni letterarie.
Collabora con diversi istituti scolastici nella stesura di testi didattici e nell’applicazione del Metodo Orff per l’insegnamento musicale.
Finalista al “Premio Il Molinello” 2004, al Premio Prospettiva Editrice 2005, al “Premio Troisi” edizione 2006 per la Migliore Scrittura Comica, e finalista al “Premio Boopen 2010” nella sezione Giallo/Noir.
Ma la cosa che mi preme di piu’ segnalare, dei lavori passati di Sergio, è che come me, ha partecipato all’antologia Se mi lasci non male (Kairòs editore) curata dall’amico Gianni Puca, per altre informazione e curiosità su di lui, vi invito a visitare la pagina di con-fine edizioni.
Ed ora veniamo alla intervista che, molto pazientemente Sergio mi ha rilasciato, non vi annoierete, ne sono certa, perché le sue preferenze, non sono poi così astruse, anzi…
Angie: – Quanto conta una buona alimentazione per il tuo lavoro?
Sergio: – Quanto un buon cuscino per il riposo.
Angie: – Nel lavoro che svolgi ti sei mai ispirata/o a qualcosa di gastronomico?
Sergio: Certo. In un racconto di qualche anno fa. Parlava di cibo e di passito. Un racconto ironico che s’intitolava L’uva passa… e se ne va. In più, nel romanzo che ho da poco finito di scrivere, non quello appena pubblicato ma un altro ancora, la donna amata dal protagonista è un’anoressica che paradossalmente, ma altrettanto supremamente, parla sempre di cucina.
Angie: – Cosa significa per te mangiar bene?
Sergio: Trovare nel cibo un perfetto equilibrio tra vista e sapore. Infine alzarsi da tavola con ancora una punta di appetito, come fosse la gradita promessa di un nuovo appuntamento.
Angie: – Le tue esperienze lavorative?
Sergio: In passato ho fatto lavori saltuari per mantenermi agli studi, tipo il commesso, consegnare elenchi telefonici, tenere lezioni di doposcuola. Dalla laurea in poi ho fatto per la maggior parte del mio tempo il veterinario e il docente di Veterinaria, sporadicamente, in un istituto professionale. Oggi scrivo anche, e sono copywriter in un’agenzia di Comunicazione.
Angie: – Hai un ristorante o un locale dove preferisci andare a mangiare? Se sì, dove?
Sergio: – Ce l’ho, sta nei pressi di via Repubbliche Marinare di Barra. Si chiama Trattoria Fratelli Cifuni. Si mangia da dio e mi sento a casa. Col mio amico Giovanni Nurcato, tra un piatto e l’altro, si scarabocchiano spesso progetti di racconti e di copertine profittando della tovaglia usa e getta di carta candida che diventa la pagina d’un taccuino gigante. Giovanni tira fuori la penna dal suo borsello come una posata portatile personalizzata. C’è anche una fame interiore, e ci si sazia di parole, a volte, oltre che coi cibi. Con il poeta Salvatore Esposito, poi, ci si racconta, tutt’e tre, e si ride, una volta sazi, come per seppellire le iatture.
Angie: – Ti piace invitare amici a cena o a pranzo, o sei più spesso invitato??
Sergio: L’uno e l’altro. Avendo figli ancora piccoli, però, invito più che essere invitato.
Angie: – Sei mai stata/o a dieta?
Sergio: Sì, ma non l’ho mai “girata tutta”.
Angie: – Meglio carne o pesce?
Sergio: Carne.
Angie: – Se fossi un dolce, quale saresti?
Sergio: La crostata.
Angie: – Se fossi un ingrediente?
Sergio: Lo zucchero.
Angie: – Vino, ed in quale ti identifichi caratterialmente??
Sergio: Il Gragnano. È un vino che è sempre stato presente sulle tavole dei grandi, ma anche della povera gente. Nonostante sia rosso, va servito freddo, come piace a me. Amo il suo colore rubino, la sua vena amabile, la sua spuma frizzante e perfino il tonfo, non proprio salutare, che mi fa nello stomaco quando lo mando giù. Mi piace molto, e sono anche in buona compagnia. Piaceva, a quanto ne so, anche a Eduardo. Chi non ricorda la sua frase in Miseria e nobiltà: “ Se non è Gragnano, desisti!”. Lo amava pure Mario Soldati, che lo definì un vino piccolo, ma insuperabile.
Angie: – Il tuo punto debole
Sergio: – Quello interrogativo. Sì, lo so, è una battutaccia. Tuttavia contiene un gioco di parole per me significativo. Perché ciò che mi limita, spesso e volentieri, sono i dubbi e le indecisioni.
Angie: – Nel tuo frigo che cosa non manca mai, e nella dispensa?
Sergio: – Nel frigo il formaggio. Amo molto quello coi buchi. Lo cerco anche quando sono fuori. Non ci posso far niente, sarà pure sentimentalismo, ma mi ricorda le buche della mia città! Quando finalmente le ripareranno, passerò magari all’Asiago. Nella dispensa, riguardo a quella, non mancano mai pasta e barattoli di pomodoro. Per tutto il resto si può anche resistere.
Angie: – L’aspetto che più ti attira del fare da mangiare e se c’è un piatto che ti piace cucinare di più in assoluto?
Sergio: – Vedere il cibo cambiare colore mentre cuoce e ti fa salire al naso il profumo della sua “magica” metamorfosi. Come piatto mi piace cucinare i bucatini alla carbonara. Mi ricordano mio padre, che li cucinava da dio. Lo emulo puntualmente, ogni volta che mi capita di cucinarli, in una sorta di intima commemorazione.
Angie: – E quello che ti piace mangiare?
Sergio: – Spaghetti con spezzatino, patate e piselli. Il cosiddetto ‘O ruot o furn’.
Angie: – Come ti definiresti a tavola?
Sergio: – A mio agio. Direi: posato… tra le posate.
Angie: – La colazione ideale e quella che invece normalmente fai.
Sergio: – La mia colazione ideale non la posso fare frequentemente né tantomeno descrivere senza suscitare stupore. È: “taralli napoletani sugna e pepe inzuppati nel cappuccino. Non scherzo. Sarà la presenza del pepe come esaltatore di sapidità, sarà il contrasto che ne viene, sarà quel che sarà, ma mi fa impazzire. Data la difficile reperibilità quotidiana dei taralli e (tra parentesi) la paura della colite, ripiego sul classico caffè e cornetto.
Angie: – Di cosa sei più goloso? e cosa proprio non ti piace?
Sergio: – Sono golosissimo di cioccolato e dolci croccanti. Non mi piacciono invece le verdure, proprio non riesco ad apprezzarle, è più forte di me, ma le mangio comunque, mandandole giù per lo scrupolo di dover ingerire qualche vitamina e qualche sale minerale scampati, magari, all’inquinamento.
Angie: – Che ne pensi dei prodotti surgelati, che dimezzano il tempo in cucina?
Sergio: – Sì. E che probabilmente dimezzano anche la sopravvivenza.
Angie: – La cucina è fatta anche di profumi, essenze, odori, ne hai uno preferito?
Sergio: -Sì, il profumo del ‘Casatiello dolce’ derivante, credo, dal criscito. Il casatiello dolce ha un odore e un sapore unici. Trovo che sia una delle poche cose scampate alla commercializzazione e, come dire, alla “quotidianizzazione” dei sapori che hanno reso maledettamente anti tradizionale e monotono il gusto di tanti dolci tipici, tipo il panettone, per esempio, la cui essenza la trovi ormai, tutti i giorni, nella ipercalorica quotidianità delle merendine. Sì, lo so, ho parlato astruso. Sei autorizzata a guardarmi torvo.
Angie: – Limone o aceto?
Sergio: – Nessuno dei due.
Angie: – Non puoi vivere senza…
Sergio: – Senza i ricordi.
Angie: – Dici parolacce??
Sergio: -Sì, mi capita di dirle, ma solo nelle incazzature. In questo caso credo mi siano in qualche modo utili. Ritengo, riguardo alle parolacce, che in certi casi, sai, per chi le ascolta per bocca di chi le sa dire, siano come il pezzettino di fondente misto a granella di nocciola che ti capita in bocca a sorpresa mangiando un gelato. Fanno anche ridere, certe volte. Come per tutto, anche sulle parolacce, comunque, ci sarebbe molto da discutere e anche da filosofeggiare.
Nel mio ultimo romanzo Codamozza, edito da Con-fine, c’è una scena che la dice lunga su come la penso in proposito. C’è un certo Crùcolo che di fronte a un paesaggio mozzafiato esclama: «Cazzo! Ti entra nell’anima!… » e il suo più caro amico, che gli sta a fianco e si chiama Bet, lo redarguisce per la parolaccia. Al rimprovero Crùcolo gli risponde candido: «Hai ragione Bet, scusa, non dirò più la parola… anima!»
Angie: – La parola che dici più spesso?
Sergio: – Ho chiesto a mio figlio. Pare che sia “Devo…”
Angie: – Esiste un legame tra cucina e sensualità? Che cosa secondo te conta di più nel sedurre una donna? Una buona cena, o anche il saper cucinare?
Sergio: – Baci e cibi frequentano lo stesso transito, che è la bocca. Questo significa che anche il cibo può essere amore, e che anche l’amore può essere commestibile. Ma pure che entrambi, per essere digeriti, corrono l’identico rischio di essere mandati a ca (bip) re.
Riguardo al sedurre una donna, beh, mi ritrovo pienamente nell’assunto che ‘è la donna a scegliere l’uomo che poi la sceglierà’. Credo, in poche parole, che qualunque cosa faccia un uomo per sedurla, per una donna conti soltanto quello che lei crede di poter trovare in lui. Senza malafede, per carità, ma per natura. Non ci sono colpe né particolari meriti. Con la seduzione si procede insieme come con una sega a due manici. Ma, nel farlo, l’uomo segue i propri istinti; la donna i propri piani.
Angie: – Una “fantasia erotico gastronomica”?
Sergio: – Panna su…
Angie: – Hai mai conquistato qualcuno cucinando??
Sergio: – Mai. Ma molte donne lavando i piatti.
Angie: – Hai mai utilizzato l’ambiente cucina per scrivere e lavorare?
Sergio: -Sì, spesso. Ma devo dire che più spesso ancora m’è capitato di avere idee e scrivere laddove la cucina trova il suo “atto” finale. Sarà perché il mondo sta andando “a rotoli”.
Angie: – La verve letteraria, lo stimolo per incominciare a raccontare, avviene a pancia piena o a digiuno?
Sergio: -Il mio demone della scrittura mi sveglia soprattutto di notte. Per riempire con incombenza pagine e pagine di scrittura e a volte, in contemporanea e in maniera compulsiva, anche lo stomaco, delle prime gustose schifezze che mi capitano tra le mani.
Angie: – Preferisci di più il dolce o il salato quando sei preso dal tuo lavoro?
Sergio: – Il dolce.
Angie: – Hai qualche episodio legato al cibo da raccontare? O una cosa carina e particolare che ti è successa?
Sergio: – Non è una cosa che è successa a me, ma una cosa che ho visto in un film e mi è piaciuta tantissimo. Il film è ‘C’era una volta in America’ di Sergio Leone. Si tratta di una scena bellissima. C’è uno dei ragazzi della banda che rinuncia a far sesso con una esperta prostituta per un bignè. Si sa che la donna, assai golosa, si concede anche se le si portano dolci al posto dei soldi. Il ragazzino squattrinato in questione lo fa, le porta un bignè alla panna ch’è la fine del mondo. Ma non resiste, lo mangia sui gradini nell’attesa che lei abbia finito con un precedente cliente. Fa tenerezza. Lo mangia con una goduria che gli varrà più di qualunque possibile orgasmo.
Angie: – Vai spesso a pranzo/cena fuori, se sì che tipo di locale prediligi?
Sergio: – Non molto spesso. Prediligo gli agriturismi.
Angie: – Che fai dopo cena?
Sergio: – Guardo la tivvù o leggo o entrambe le cose contemporaneamente, seduto non sul classico divano ma alla scrivania, con la luce del monitor del pc che m’illumina la pagina.
Angie: – L’ultimo libro che hai letto?
Sergio: – Il club degli incorreggibili ottimisti, di Jean-Michel Guenassia. Un’opera di suprema mescolanza tra humor e melanconia.
Angie: – Il pezzo musicale che mette in moto i succhi gastrici…
Sergio: – Telegraph road, dei Dire Straits.
Angie: – Hobby?
Sergio: -Tanti. Ma son diventati tutti lavoro.
Angie: – Se fossi un personaggio mitologico chi saresti?
Sergio: – Prometeo. Secondo la mitologia greca, Prometeo rubò il fuoco agli dèi per donarlo agli umani bisognosi di aiuto. Fu per questo punito e incatenato a una montagna mentre un’aquila gli divorava il fegato. Non ritengo di possedere la sapienza di quel fuoco rubato agli dèi, né tanto meno l’intelligenza di Prometeo, ma come lui, anziché nel buio, ritengo di brancolare paradossalmente nella tremula luce di quella stessa fiaccola rubata.
Angie: – Qual è il sogno più grande?
Sergio: -Che sia io un giorno con qualche mio bel romanzo a far diventare importante una casa editrice, e non il contrario. Sarebbe un bello schiaffo morale a certi monopoli, non credi?
Angie: – Cosa ti dicono più spesso?
Sergio: -‘Dotto’, che può essere?’
Angie: – Ti fidanzeresti con una cuoco/a?
Sergio: – In effetti, l’ho fatto. L’ho sposata. Non in maniera certificata, ma mia moglie lo è.
Angie: – Un piatto della tua infanzia
Sergio: – Pane olio e zucchero, consumato seduto sull’ultimo scalino di una lunga gradinata del rione o con le gambe ciondolanti infilate nelle grate.
Angie: – C’è un piatto che non hai mai provato e che vorresti assaggiare?
Sergio: – Interiora fritte di pollo.
Angie: – Oggi si parla di federalismo. Secondo te, esiste anche in cucina?
Sergio: – Ma è proprio lì che il federalismo è nato, in cucina! Quando s’è deciso di dividere equamente le spese “alla romana”.
Angie: – Quale piatto eleggeresti come simbolo dei 150 anni dell’Unità d’Italia?
Sergio: -Sarei tentato di dire poeticamente ‘La caprese’, con mozzarella e pomodori; per i colori simili alla nostra cara bandiera. Ma dico, per tutto quello che sta succedendo politicamente: L’insalata!
Angie: – Dopo la cucina italiana, ce n’è qualcuna internazionale che preferisci? Se sì, quale?
Sergio: – Quella spagnola.
Angie: – A quali altri progetti ti stai dedicando in questo periodo?
Sergio: – Alla stesura di un ennesimo romanzo e a molti progetti riguardanti PeepAll Communication, l’Agenzia di Comunicazione per la quale lavoro.
Angie: – Come definiresti il tuo carattere, da un punto di vista prettamente gastronomico?
Sergio: Sono un idealista, e in quanto tale “sono fritto!”
Angie: – A che piatto paragoneresti Letta, Berlusconi, Renzi, Vendola, Beppe Grillo?
Sergio: -‘Brodo tiepido’ il primo, ‘timballo’ il secondo, ‘insalata verde’ il terzo, ‘spaghetti al pesto’ il quarto, e ‘pane e peperoni’ l’ultimo.
Angie: – La cucina ti ha mai tradito?
Sergio: – Cosa e chi non tradisce?
Angie: – Se tu dovessi abbinare una pietanza a ogni personaggio del tuo romanzo, quali sceglieresti?
Sergio: – L’ho già fatto: nel mio nuovo romanzo i protagonisti sono topi antropomorfi, soprannominati ciascuno col nome del formaggio preferito.
Angie: – Quale personaggio del tuo libro potrebbe essere “la mela proibita”?
Sergio: – Una topa di nome Vezzèna.
Angie: – Prova a descrivere il tuo romanzo – o parti di esso – con metafore culinarie, tipo “nutrimento dell’anima”.
Sergio: -Trattandosi di ingiustizie, di topi antropomorfi e di formaggi, direi: “Una storia che ti dice che non sempre la fonduta rende giustizia alla qualità dei singoli formaggi”.
Angie: – Se tu dovessi scegliere uno scaffale di supermercato (o altro negozio simile), dove immagineresti collocato il tuo libro? E perché?
Sergio: – Facile. In un caseificio!
Angie: – Stai pensando alla trama da mettere su carta, sei preso dal vortice dell’ispirazione: dove ti percepisci? (es. in un agrumeto, in un campo di pomodori, in una distesa di mais, in un vigneto ecc.)
Sergio: Sono sempre per l’armonia delle parti. Per cui ci metto tutto: mi percepisco in una distesa di mais dove, mentre mangio pomodori e ascolto il canto dei vendemmiatori, la brezza mi porta un gradevole odore di lontani agrumeti.
Angie: – “Panem et circenses”. Sostituisci ai giochi da circo i libri. Cosa ti evoca a livello sensitivo e immaginifico?
Sergio: Opinioni di un Clown di Heinrich Boll, per il numero dei pagliacci; La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano, per l’esordio dei figli d’arte; L’Italia che ho in mente di Silvio Berlusconi, per i ‘salti mortali’ delle famiglie italiane; Non ti muovere di Margaret Mazzantini, per l’equilibrista; Pulce non c’è, di Gaia Rayneri, per l’ammaestratore di pulci; La cavalcata dei morti, di Fred Vargas, per le cavallerizze, e Caduta libera, di Nicolai Lilin per i trapezisti (che hanno magari investito in borsa).
Angie: – Quale attore sceglieresti per ricoprire il ruolo del protagonista del tuo libro? E di qualcuno dei “secondari”?
Sergio: Difficile dirlo. Perché ce ne sono tanti di attori nostrani che recitano da cani, mentre i protagonisti del mio ultimo romanzo sono invece topi.
Angie: – Se dovessi riassumere la tua filosofia di vita?
Sergio: r-esistere laddove non è possibile soltanto esistere.
Angie: – In conclusione, una tua ricetta per i miei lettori
Sergio: Penne alla tirolese. Un piatto semplicissimo. Bello anche da vedere, per il colore.
Dopo aver scolato le penne bisogna aggiungerci: dei pezzi di speck tagliati grossolanamente e rosolati nell’olio; una tazzina di latte con dentro disciolto lo zafferano; del parmigiano reggiano e del pepe a piacere. Saltare il tutto in padella, ed è fatta.
Angie: – Classica domanda alla Marzullo: Fatti una domanda e datti una risposta.
Sergio: Sì?
– Perché no?
Angie Cafiero
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