C’è ancora qualcuno che sostiene che con la cultura non si mangia e che la cultura è un lusso… bene!
Per fortuna il 13esimo rapporto annuale di Federculture ci dice che il peggio è passato, che la crisi che ha messo tutti in standby non c’è più e che anche gli italiani tornano a spendere in questo settore.
Le famiglie italiane nel 2016 hanno segnato un vero e proprio record registrando nella cultura uno degli aumenti percentuali maggiori, ben +2,9% rispetto al 2015, investendo (e questa parola non è casuale) ogni mese per beni e servizi ricreativi, spettacoli e cultura, in media circa 130 euro, vale a dire che ogni famiglia italiana in un anno spende circa 1500 € per avvicinarsi alla cultura ovvero andare ai concerti, visitare siti e monumenti, mostre, … il record lo fanno anche i musei statali che arrivano addirittura a 45 milioni di visitatori.
Addirittura, i turisti in Italia sono stati quasi 400 milioni, con un incremento del 2%.
Bisogna anche dire che molte delle nostre imprese culturali, si sono date una bella mossa e si sono decisamente innovate: molti musei hanno migliorato i servizi, alcuni hanno innovato la produzione, quasi tutti stiamo cominciando a capire che bisogna aprire le porte ai giovani e soprattutto finalmente i modelli di governance pare si stiano un po’ svecchiando.
Qualche problema purtroppo ancora c’è.
Non riusciamo ancora ad avere una normativa che definisca per filo e per segno cos’è un’impresa culturale, che cosa può e deve fare, ma soprattutto come può e deve essere aiutata nel suo lavoro.
C’è inoltre un po’ di confusione fra l’impresa culturale e l’impresa creativa: insomma come al solito il legislatore è un po’ indietro rispetto a quella che è la realtà delle cose.
Ma cosa può fare quindi l’imprenditore culturale?
Noi operatori della cultura cosa possiamo fare?
Sicuramente continuare ad investire su noi stessi e continuare a stimolare la crescita con proposte di qualità perché questo è sicuramente il momento giusto per spingere sull’acceleratore.
Ma anche e soprattutto continuare a mettere la creatività nell’impresa culturale e continuare a creare nuovi modelli di business culturale, in barba all’arretratezza delle leggi.
Giorni fa parlavo con il mio amico Michele dell’impossibilità di creare una piattaforma di crowdfunding applicato a progetti culturali per l’impossibilità di gestire la cosa dal punto di vista legale.
Lui mi ha detto: Beh, non importa, lo facciamo in Svizzera.
Infatti non importa. Ormai viviamo in un unico mondo e se il solo modo per portare avanti un progetto culturale (o un progetto qualsiasi) è farlo altrove… perché no?!
Dobbiamo in qualche modo costringere la burocrazia ad adeguarsi ai nostri tempi e non rimanere noi fermi aspettando che qualcosa cambi.
Per cui, continuiamo a lavorare sodo, con passione e con visione e mangiamo ogni giorno con la cultura, alla faccia di chi non ci crede.
Ascolta qui il podcast del video:
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