Quanto i musei riescono a stare dietro all’innovazione tecnologica e digitale?
Poco. Forse alcuni (o molti) neanche si pongono il problema.
Ma per continuare a fare il proprio lavoro il museo non può più ignorare l’argomento digitalizzazione. Ormai è anche banale dirlo eppure siamo ancora molto molto indietro ed esiste ancora un enorme gap fra il nostro patrimonio artistico e culturale e la tecnologia, cosa che potrebbe ridurre notevolmente la distanza fra le istituzioni museali e il pubblico.
C’è uno studio molto interessante realizzato dall’organizzazione culturale Melting Pro e dall’ente di ricerca Symbola nell’ambito di Mu.Sa – Museum Skills Alliance, un progetto europeo che cerca di fare chiarezza su quanto le nuove tecnologie possano essere causa di divario fra formazione e lavoro.
Il risultato di questo studio è condensato in una pubblicazione che si chiama Musei del Futuro più che altro un report che cerca di capire e spiegare il ruolo del digitale nel rinnovamento del settore museale, e lo fa intervistando dieci responsabili più o meno famosi di musei italiani.
Facciamo però un passo indietro. Si parla sempre di digitale ma poi spesso non si dice in pratica che cos’è. Quindi chiariamo questo punto. Digitale comprende principalmente due grandi aree di lavoro:
- da un lato la vera e propria digitalizzazione del patrimonio ovvero la trasposizione di tutto ciò che possediamo in formato digitale con la relativa archiviazione, modalità di fruizione, ecc.
- dall’altro il coinvolgimento dei pubblici e tutto ciò che serve a comunicare i contenuti e a raccontarli, attraverso i canali digitali.
Per riuscire a fare questo passo epocale bisognerebbe, oltre a convincersi della necessità di andare in questa direzione (e non è così scontato), investire su alcune figure professionali che dovrebbero diventare ‘strategiche’ e ‘indispensabili’ nel team di un Museo.
Le figure che non dovrebbero mai mancare sono principalmente 2:
- L’Online Cultural Community Manager (OCCM) che è il responsabile della strategia di comunicazione del museo e della gestione delle relazioni con i pubblici online
- ll Digital Strategy Manager (DSM), una figura di raccordo, responsabile della strategia digitale del museo, un mediatore tecnologico, capace di costruire un dialogo proficuo tra le realtà museali e il mondo tecnologico.
Dice una cosa interessante Francesca De Gottardo, fondatrice di #svegliamuseo, un progetto sperimentale nato per “svegliare” i musei italiani online sfruttando il potere del Web per creare un effetto rete.
È una cosa che sostengo anche io da anni e vale tanto per i Musei quanto per le aziende: la trasformazione deve riguardare tutti, senza scuse, perché ogni membro dello staff deve essere in grado di svolgere il proprio lavoro anche digitalmente e in maniera tale che tutto il museo (o l’azienda culturale) sia in grado di comunicare in ogni momento con entrambe le community, sia quella online che quella offline. E quindi se non si ha questa capacità bisogna innanzitutto investire in un programma di formazione per allinearsi a tutti i livelli, dopodichè lavorare tutti con gli stessi criteri, e nell’idea di raccontare ogni giorno un pezzettino di sé, della propria attività.
Felicori, a proposito proprio del ruolo comunicativo del Museo oggi sostiene che le nuove tecnologie sono sottovalutate perché è sottovalutato proprio il ruolo comunicativo del museo a causa di un’impostazione che abbiamo ereditato di stampo esclusivamente accademico che ha un po’ imbalsamato queste istituzioni chiuse su se stesse e tutte concentrate a ricercare e a conservare senza chiedersi mai quanto si è capaci di raccontarsi, quanto le persone che fanno una visita hanno effettivamente imparato qualcosa.
Quante volte vediamo la gente che si aggira spaesata fra le sale di un museo perché non capisce quello che sta vedendo?
Uno dei problemi principali, è anche la mancanza di una direttiva nazionale in questo senso e quindi ognuno va avanti un po’ a caso e in base all’iniziativa personale di direttori più o meno ‘contemporanei’.
L’errore che spesso si fa è pensare che tutta questa cosa del digitale e della comunicazione sia qualcosa da giustapporre alla normale attività che si è sempre fatta. Spesso senti dire: si, noi siamo social, abbiamo lo stagista che metta i post su Facebook; oppure: chiamiamo l’agenzia di comunicazione che ci gestisca i profili social, ecc. ecc. Niente di più sbagliato.
La cultura digitale deve scorrere nelle vene dell’organizzazione, essere parte della mission, deve pervadere tutti i processi organizzativi e produttivi, deve essere nell’aria, ovunque. Non si fa e poi, eventualmente si comunica: si fa comunicando e si comunica facendo. Come non si fa un inventario di una collezione e poi lo si digitalizza e poi si capisce come metterlo online: lo si fa direttamente digitale e direttamente su una piattaforma che possa renderlo fruibile al pubblico.
La cultura digitale deve diventare il sistema ed essere quel momento di svolta necessario verso il futuro dei musei e per creare i musei del futuro.
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