Versi in francese, poi da lui stesso tradotti, anzi riscritti in italiano, e versi in italiano, titolo Entrare nel vuoto (con-fine, pp. 82, euro 10), prefazione Edoardo Zuccato, postfazione Giuseppe Di Bella), terza raccolta di Fabrizio Bajec: nato a Tunisi nel 1975, metà famiglia di origine slovena, studi in Italia, bilingue, vive a Parigi dove insegna il francese, sua lingua madre. Forse questo incrocio, insieme all’attività di traduttore e drammaturgo, ha sviluppato una consapevolezza espressiva che si realizza soprattutto nel rifiuto di sprecare le parole: Il «vuoto», rifugio creativo, è anche la fucina linguistica in cui produrre, lontano da batteri inquinanti; parole strettamente necessarie per raccontare in prosa poetica lo madre, il memorando impiegato Gérard, corpi, scenari urbani; feticci tecnologici, animali e altro nell’orizzonte di un freddo storicismo quotidiano, solitudini; crudeltà.
Molto efficace lo sarcastica rappresentazione del linguaggio alienato in cui si crogiolano le chiacchiere di alcuni colleghi di lavoro. Lui; il poeta, si sente la prima vittima: «lo non so più chi sono, la realtà/ che mi sostiene è ormai fatta di quei discorsi». Ma il riscatto sta nell’abbandonare «la vittoria e la sconfitta», e infine «perdersi nell’essere» ritornando alla fonte naturale di una umanità più autentica.
Enzo Golino
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