Raccontare la cultura con la propria faccia

Chi lavora nel mondo dell’arte e della cultura ha un vantaggio competitivo che spesso sottovaluta o addirittura ignora: è un produttore di contenuti.
Oggi per comunicare TUTTI hanno bisogno di contenuti e spesso e volentieri la gente, le aziende, li pagano fior di quattrini.
Noi li abbiamo… e che cosa ci facciamo? Spesso NIENTE! Non sfruttiamo uno dei nostri principali punti di forza.
Questo perché nel settore culturale o museale la comunicazione viene vista come una cosa che riguarda altri o nel migliore dei casi da affidare ad uno stagista o ad un’agenzia di comunicazione esterna.

Peggio ancora quello su cui lavoriamo viene vissuto come qualcosa di segretissimo da non svelare fino all’ultimo momento in cui esce la pubblicazione o viene inaugurata la mostra.
Spesso mi sento anche dire: si, noi facciamo comunicazione, abbiamo una stagista che mette i post su Facebook.
Oppure: si ci segue l’agenzia tal dei tali, sono bravissimi; poi vai a vedere le pagine social e trovi post che hanno l’appeal di un iceberg con uno due like e zero commenti.

Questo perché il contenuto è qualcosa di intrinseco a chi fa un determinato mestiere, è qualcosa che ci si porta dentro e spesso non si riesce a mettere a disposizione di un qualcuno che lo deve utilizzare e che è al di fuori di quel contesto.
Per questo motivo, chi produce arte e cultura deve mettersi nell’ottica che con la stessa passione con cui quei contenuti li crea, li può e li DEVE anche raccontare.

Facciamo un esempio. Io sono un Museo che sta studiando un autore per farci una mostra. Lo studio di questo autore comporterà viaggi, scoperte, visite e interviste a persone che lo hanno conosciuto, ore di lettura di documenti, studio delle opere, ecc… Ma quanto materiale è? E soprattutto quanto sarebbe affascinato il futuro visitatore della mostra dal racconto di questa storia? E se suscitiamo il suo interesse e lo coinvolgiamo in tutte queste fasi, vuoi che non diventi un fan di questa avventura e vuoi che dopo non venga a vedersi la mostra, o comprare il libro? Certo che sì!
Questo per dire che abbiamo in mano un potenziale di comunicazione attraverso i contenuti che quotidianamente produciamo che è pressoché infinito e con una capacità di attrazione enorme.
E non è semplicemente ‘mostrare’ il backstage, che già comunque male non fa. È mostrare il valore di quello che facciamo e creare interesse reale intorno a quello che facciamo.

Una delle risposte tipiche che sento quando parlo di queste cose ai direttori dei musei, ai galleristi, ma anche agli artisti è: eh, ma non ho tempo. Quello che bisogna cambiare non è tanto la gestione del tempo, ma l’approccio mentale che si ha nei confronti del proprio lavoro. Il racconto oggi non è più un accessorio che possiamo usare o meno, ma è un vero e proprio complemento, una cosa che fa parte integrante del lavoro stesso.
Produzione e comunicazione non possono più essere oggi due settori a tenuta stagna, e neanche due facce della stessa medaglia. La produzione di contenuti e la comunicazione sono la STESSA faccia della medaglia. E anche nella pratica è chi produce che deve raccontare, nel modo che gli è più congeniale ovvero scrivere se è più bravo a scrivere, con dei podcast se è bravo a parlare, con dei video se è in grado di stare davanti ad una telecamera, in qualsiasi modo, ma DEVE farlo.

Se ci si rivolge ad un’agenzia esterna, quindi, quello che le si dovrebbe chiedere è: mi metti in condizione di fare la MIA comunicazione, di raccontare i miei contenuti? E non questo è il mio museo pensaci tu. Bisognerebbe chiedere all’agenzia un percorso di affiancamento per renderci indipendenti o quantomeno responsabili e in grado di gestire e veicolare i contenuti che abbiamo in casa verso il nostro pubblico, la nostra audience.

Quindi come al solito bisogna metterci la faccia, la voce, la penna, qualsiasi cosa siamo in grado di metterci. Ma una cosa è certa: bisogna metterci noi stessi perché nessuno meglio di noi è in grado di raccontare quello che facciamo.

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