Oltre 12 milioni di visitatori in 25 anni per le mostre sulle sculture dell’artista catalano, organizzate da Beniamino Levi
Quella di Beniamino Levi è una personalità poliedrica nel modo dell’arte: gallerista a Milano fino agli anni 60, mercante, mecenate, collezionista, esperto mondiale di arte moderna. La sua vita, personale e professionale, cambia quando, alla fine degli anni 60, incontra Salvador Dalì.
“La prima volta lo vidi al Maurice Hotel di Parigi, dove viveva quattro mesi all’anno – racconta Levi -. Un incontro straordinario, oltre ogni aspettativa. Fui sopraffatto e affascinato, Dalì era estremamente intelligente e molto eclettico, dotato di un’irrazionalità razionalizzata”. Nei successivi incontri con il maestro del surrealismo, Levi acquista due sculture e le espone ad una fiera d’arte a New York, dove le opere suscitano interesse ma si disperdono in mezzo alla più celebrata produzione pittorica dell’artista catalano. “Così incoraggiai il Maestro a creare altre sculture, convincendolo grazie all’aiuto della moglie Gala, che aveva una forte influenza su di lui perché tra di loro c’era un amore profondo”.
Nello stesso tempo Levi si mette a cercare in tutto il mondo le opere tridimensionali di Dalì: oggi la sua collezione è una delle più grandi e rappresentative al mondo sul genio catalano, e continua ad arricchirsi di nuovi pezzi.
Il cuore della raccolta sono le scultura in bronzo: opere come Alice nel Paese delle Meraviglie o la Donna in fiamme, sono estremamente significative, altre traggono ispirazioni del simbolismo riconosciuto della produzione artistica di Dalì, come “orologi moli”, elefanti, cassetti e stampelle, mentre alcune sculture degli anni 30 sono il frutto di un “plastiche” con oggetti esistenti, come il manichino e la baguette di Busto di dona retrospettivo. Nella collezione c’è tutto l’universo e il genio creativo di Dalì, che fa scoprire un altro lato, meno conosciuto ai non addetti ai lavori, dell’artista; incisioni e litografie, ori, collages e sculture in pasta di vetro delle cristallerie Daum di Parigi, illustrazioni surrealiste di grandi opere letterarie come la Bibbia e la Divina Commedia, fino ad oggetti di design come il leggendario divano Labbra di Mae West. Tra i pezzi forti che vengono esposti ci sono le sculture monumentali in bronzo, di dimensioni comprese tra i 3 e i 7 metri, come l’Elefante spaziale o il Pianoforte surrealista, di grande impatto soprattutto quando vengono piazzate in contesti urbani di grande prestigio. “A Place Vendome a Parigi”, nel ’95, suscitarono grande scalpore -ricorda Levi -. I pullman turistici si fermavano per ammirare le opere e intralciavano il traffico». Oltre 300 opere sono conservate nella permanente dell’Espace Dalì all’Historial de Montmartre di Parigi, ma la collezione in 25 anni, dalla prima esposizione “Dalì nella terza dimensione” del 1988 al castello Svevo di Bari, ha fatto il giro del mondo, contribuendo notevolmente a far conoscere l’opera tridimensionale del maestro del surrealismo. Le mostre di Levi hanno toccato quattro continenti, portando le opere tridimensionali del genio di Figueras ad oltre 12 milioni di visitatori. Tra cui 550mila a Tokyo, al Mitsukoshi Museum of Art, nel 1991, e 260mila a Taipei (Taiwan) nel 2012, mentre “The Dalì Universe” (www.thedaliuniverse.com) a Londra ha fatto registrare ben 250mila visitatori all’anno tra il 2000 e il 2009 e l’Espace Dalì conta circa 150mila visite all’anno dal ’95. In progetto ci sono altri appuntamenti prestigiosi tra cui Roma) per l’esposizione “The Dalì Universe”, mentre in Cina i bronzi monumentali di Dalì, sono richiestissimi come “Landmark” per i nuovi quartieri delle città in espansione. “Per me, che mi considero fortunato di aver incontrato Dalì, aver raccolto queste opere d’arte in tutto il mondo rappresenta più che una collezione: è una testimonianza storica che consente a tanti appassionati di entrare in contatto con il mondo surreale di Dalì, aver raccolto queste opere d’arte in tutto il mondo rappresenta più che una collezione: è una testimonianza storica che consente a tanti appassionati e di entrare in contatto con il mondo surreale di Dalì – sottolinea Levi-. Di lui ricordo soprattutto la differenza tra l’uomo privato e l’uomo pubblico, quello che discute con una certa profondità e larghezza di vedute d’arte e non solo quello che , di fronte ai giornalisti e al pubblico, si cambia d’abito ed entra nel personaggio, con i suoi atteggiamenti irriverenti. Ha inventato il marketing dell’arte diventando quasi più famoso per i suoi bassi che non per le sue opere: una tendenza che oggi è largamente diffusa tra gli artisti.
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