Chi oggi conosce Giorgio Manganelli, lettore onnivoro, anglista, esperto dell’arte della fuga? Per i non addetti ai lavori consigliamo “Un ossimoro in lambretta, labirinti segreti di Giorgio Manganelli (pagg. 84, euro 13; Gaffi-Italo Svevo)” , scritto da Patrizia Carrano. Un librino – meglio sarebbe dire libriccino – che narra della vita di false partenze di quella vera e propria figura mitologica che era Giorgio Manganelli.
Scappò da Milano in Lambretta lasciando una moglie pazza che poi divenne una grande poetessa; scappò dall’università dove era assistente e trovò il suo buen (?) retiro a Roma a Via Chinotto 8 interno 8 e qui organizzo i suoi spazi scappando nelle controre fisiche e della vita alternando allegrie a canine malinconie. Un misantropo? , nulla di tutto questo: aveva amici come Pietro Citati (l’imperatore delle lettere) che lo mise in contatti con il Regista principe di quegli anni (Federico Fellini): i due si annusarono ma raramente parlarono con apertura. Citati gli presentò un suo amico (la Creatura) che gli fu amico ed ascoltatore privilegiato dei suoi amori, delle sue letture, ma non dei suoi ascolti musicali colti.
Chi era in definitiva Manganelli? Era un uomo che non smise mai di porre in essere la sua inveterata vocazione al racconto, usando la sua lingua barocca. Sembrava un notaio e si vestiva (quasi) da persona in vista. In realtà questo sarchiapone della letteratura era in grado di comprendere al volo il sottosenso di un panorama, di un popolo, di una città.
Manganelli conosceva – senza conoscerli – i cani ed i cavalli; le differenze tra i treni e gli aerei: la diversa anima di una Lettera 22 o di un computer. Ma soprattutto sapeva che il vero lettore è chi sa quali libri non leggere.
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